Leggende del popolo armeno curate da Baykar Sivazliyan e Scilla Abbiati. Alle radici di una diaspora

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Avvertenza
Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.


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La mia valutazione su questo libro:
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Una raccolta di fiabe e di storie della tradizione popolare ha sempre un grande valore etnologico. Nel caso però di questa specifica raccolta credo si debba parlare di qualcosa che va ben oltre la trascrizione di un racconto orale popolato di folletti e arzigogoli, di personaggi che mutano forma ed umore. Il richiamo è quello di una variegata e ricca cultura, di una poesia forgiata tra i profumi della natura, tra montagne innevate, in lunghe notti in cui le famiglie del Musa Dagh, grandi e piccini, si ritrovano riunite intorno alle braci calde di un camino e gli anziani raccontano. La testimonianza è di un mondo sopravvissuto ad un genocidio, quello del 1915, in cui centinaia di migliaia di armeni sono stati torturati, uccisi, deportati nel deserto inospitale. E con loro una cultura millenaria, una ricca tradizione di usanze e costumi, quella identità culturale che si è cercato di cancellare in un solo colpo.

Per dovere di cronaca va ricordato che il genocidio armeno è stato riconosciuto come realtà storica di cui la Turchia dovrà farsi carico in diverse sedi, oltre che nella sua memoria storica. Le Nazioni Unite lo hanno fatto il 29 agosto del 1985 e il Parlamento Europeo si è espresso nel giugno del 1997. Un riconoscimento tardivo, non solo per un’operazione di metodico sterminio insabbiati da un instancabile negazionismo turco, ma anche da una certa vergogna delle potenze occidentali per l’aver volutamente taciuto, in virtù di un interesse politico ed economico che ha messo in ombra quello etico e morale.

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foto Pixabay.com

Le fiabe sono dunque un punto di contatto con ciò che si è cercato di sradicare dalla memoria collettiva dell’umanità. Hayasta è il nome con cui gli armeni, sparpagliati in tutto il mondo dalla diaspora, appellano ancora oggi il loro Paese. Un nome che riprende quello di Hayk, la cui tradizione vuole essere un diretto discendente di Noè, esattamente colui che si fece coraggioso capitano dell’Arca, l’imbarcazione del diluvio, che si vorrebbe incagliata sulle pendici del Monte Ararat, l’imponente montagna che domina oggi il paesaggio dell’Anatolia. Quella regione ottomana che ha sempre mal tollerato la presenza di una florida comunità che San Gregorio “Illuminatore” aveva convertito al Cristianesimo.

Di tutto rispetto anche i curatori di questa raccolta che si fa leggere molto volentieri: Baykar Sivazliyan e Scilla Abbiati. Il primo armenista, turcologo e dirigente politico della diaspora armena, nasce a Istanbul il 21 febbraio del 1953. Dopo gli studi elementari e medie inferiori nella scuola armena “Mesropyan” per le minoranze della città natale, nel 1966 si trasferisce a Venezia, nel 1971 si diploma con i massimi dei voti presso il Collegio Armeno Moorat-Raphael di Venezia. All’Università Ca’ Foscari di Venezia si specializza in lingua e letteratura turca e in armenistica.Ricca la sua carriera di insegnante, è anche autore di una ventina di monografie sulla cultura e storia armena, sulla situazione delle minoranze nell’Impero Ottomano e della minoranza armena nel Veneto. Nella sua qualità di essere figlio e nipote di sopravvissuti al Primo Genocidio del XX secolo, nell'Impero ottomano, la sua mano arricchisce il valore di questo libro. Scilla Abbiati (1955-2004), laureata in Lingua e Letteratura Russa e successivamente in Lingue e Letteratura Orientali. Ha insegnato e nell’ambito dei propri studi si è occupata tra l’altro dell’opera del poeta turco/polacco Nazim Hikmet e della stesura del Vocabolario Armeno-Italiano.

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opera di Sevada Grigoryan - https://laterradihayk.com/2016/05/14/sevada-grigoryan-opere/

Nel tessuto di credenze e valori armeni che emergono dalle righe del libro, fa la sua comparsa anche l’importanza del territorio, dell’ambiente, in cui il popolo armeno riconosce la terra natia. Da qui il richiamo alla natura e agli esseri che la popolano, che la condividono, a quegli animali cui va il merito di una pennellata esopica nella narrazione, ma proprio perché tale con una morale, con valori e qualità che si espandono oltre la zoologia che si studia a scuola. Unico suggerimento: da degustare con calma, un po' per volta, meglio se seduti su una panchina immersa nel verde.

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