Articolo originariamente pubblicato il 3 febbraio 2017
Aggiornato il 3 gennaio 2018
Rieditato per questo sito il 10 settembre 2021
L'inserimento
in cartella delle emissioni repubblicane del 2015, e quindi l'ampliamento
del mio percorso espositivo, mi offre lo spunto per proseguire alcune
riflessioni su collezionismo e collezionare, sui francobolli e loro contestualizzazione
storica e, perché no, didattica. Giusto per quel continuo tentare, che molti raccoglitori come me fanno, di cercare di
trasferire una personale passione alle generazioni a venire.
Il collezionismo è in fondo un grande gioco dove l'entusiasmo per la raccolta e
la ricerca non possono venire a meno, anche quando la platea dei partecipanti
aumenta.
Il termine
"collezionare" ha una radice antica, pare infatti trovare genesi nel
latino "colligere" ovvero raccogliere. Bene lo sapevano epigrammisti
e prosatori dell'antichità che raccontano di come, nell'Antica Roma, il
collezionismo fosse attività diffusa, tanto da dare vita a vere e proprie
mostre e mercati specializzati. Cosa dire poi delle raccolte emerse dalle tombe
dei grandi faraoni dell'Egitto antico? Pietre di foggia stravagante e bastoni
ritrovati nei sepolcri sono una traccia tangibile dell'umana esigenza di
raccogliere, catalogare e collezionare e nemmeno il grande Tutankamon ha
costituito eccezione. Gli esempi citati in letteratura sono tanti: dai vasi di
essenze esotiche della bella Cleopatra alle bamboline di Neruda. Non ha
importanza ciò che si raccoglie. Ciò che conta veramente è quell'impegno che
richiede passione e pazienza, che nel piacere della scoperta esonda nel
desiderio di conoscere, che ci stimola ad indagare, ricercare, approfondire ed apprendere.
Sfogliare una collezione di francobolli equivale, per molti, alla visita ad un museo.
Ancora di più per quel visitatore che, a digiuno di una specifica
cultura filatelica di tipo "accademico", si colloca allo stesso piano di
un bambino curioso, ma inesperto nella sua dimensione cognitiva. Per
quest'ultimo la visita è sinonimo di un'esperienza che stanca. Il
visitatore "bambino" è disorientato, posto come al centro di un insieme
assai vasto di reperti che, dopo un po' non è più in grado di
interpretare, ma nemmeno quasi di distinguere.
I nostri francobolli, le missive con i loro annulli, le cartoline
diventano oggetti che, separati dalla loro originaria funzione
utilitaristica e raggruppati secondo i criteri personali di chi li ha accomodati,
sono spinti a rivelare il loro profilo nascosto, come ombre sui muri
che diventano figure o immaginari personaggi di un cielo solcato da
nuvole. I legami tra gli oggetti, le interferenze, le risonanze sono in
effetti davanti agli occhi di chi osserva, ma per percepirli occorre la
capacità di aggiustamenti continui. Servono punti di riferimento.
Per il visitatore neofita, l'uscita dal museo o quel rapido e
superficiale sfogliare un album sino ad arrivare all'ultima pagina in un
sol respiro, è vissuto come un momento liberatorio. Sono quindi
convinto che la visita di una collezione non possa limitarsi a mostrare una serie infinita di taschine trasparenti che custodiscono i nostri francobolli o le nostre buste ben affrancate, ma debba essere organizzata anche ponendo in atto una strategia didattica.
Un impianto espositivo che si offra come un'esperienza cognitiva per
colui che sfoglia. In fondo è questa l'attività che ci occupa la maggior
parte del tempo: disegnare le nostre vetrine virtuali in cui porre i
reperti postali.
la visita di una collezione non può limitarsi a mostrare una serie infinita di taschine trasparenti, ma deve essere organizzata anche ponendo in atto una strategia didattica |
Non c'è dubbio che l'epoca in cui viviamo necessita di un apparato
espositivo differente da quello che il collezionista approntava nel
passato. Stimoli e conoscenze erano differenti e le modalità con cui un
collezionista di inizio Novecento predisponeva i suoi valori per sé e per
mostrarli ad altri fondava su un contesto sociale e culturale molto
differente. Va da sé che anche il mondo filatelico è mutato: a quel gran
numero di appassionati e competenti collezionisti di ieri, che da soli
costituivano una platea di "visitatori" maturi, oggi si è sostituita una
società abituata ad un apprendimento precucinato espresso, ove la
filatelia è spesso declassata ad oggetto di modernariato. Oggi siamo
circondati da mezzi di comunicazione multidisciplinari, ad esempio la
televisione, che surrogano ogni operazione di completamento dal punto di
vista dell'apprendimento. Il colore, il suono, la comunicazione visuale
si presentano già interconnesse, strutturate a copia della vita reale
ove l'insieme degli stimoli è confezionato per produrre schemi e trame
coerenti. Non devi fare altro che sederti e guardare. Non è così, salve
rare eccezioni, per i percorsi museali e quindi per l'esposizione di una
collezione ove ogni singolo reperto svela una propria storia e ne nasconde cento altre.
La curiosità di saperne di più, rispetto all'oggetto esposto o mostrato su un album, è un'opportunità da cogliere appieno.
Per chi accomoda ciò che ha raccolto, la collezione è un gioco senza
fine, un vero e proprio universo in cui il collezionista detta le regole
di uno spazio che gli appartiene totalmente, in cui nessuno può
imporgli leggi, vincoli, dogmi. Per chi questo universo lo visita
solamente, il punto di vista è totalmente diverso. Se il racconto che circonda il francobollo
è in grado di soddisfare l'esigenza di conoscerne la natura, la sua
origine, la sua storia e i mutamenti avvenuti nel tempo, ecco che la
propria collezione perde quella valenza individuale e si trasforma in un mezzo, in un veicolo di conoscenza e di approfondimento capace di aprire gli orizzonti anche a chi non ha partecipato alla raccolta ed alla catalogazione.
La collezione può trasformarsi in un mezzo, in un veicolo di conoscenza e di approfondimento
Le consolidate teorie sull'apprendimento, in senso generale del termine e
non solo limitato all'aspetto puramente scolastico, identificano tra le
cause di non assimilazione, all'interno di un contesto non destinato
alla pura formazione, la mancanza di una connessione tra ciò che si apprende e la pratica ricaduta nel problem solving.
Diventa cioè difficile trattenere quanto si apprende se quegli stessi
concetti o quelle specifiche nozioni non saranno mai utilizzate nella
vita pratica quale strumento di risoluzione dei problemi. Comprenderete
quindi quanto sia difficile implementare un elemento così complesso
all'interno di un repertorio culturale, offerto da un percorso
filatelico o di storia postale, dovendo nello stesso introdurre stimoli
cognitivi e percorsi intellettuali che non siano solo emozionali, ma che
sappiano attivare un'esperienza cognitiva complessa. Questa è forse la
sfida più grande. Una sfida che a volte ci obbliga a rompere gli schemi.
In ogni percorso espositivo, in quanto trama portante del racconto,
l'oggetto rappresenta il testo. L'oggetto è l'asse narrativo, non si
cambia in quanto tale, e va dunque interpretato. Per farlo si ricorre a
quello che gli addetti a lavori definiscono paratesto. Un
elemento di supporto all'interazione tra reperto ed osservatore, una
connessione il cui richiamo può avere differenti valenze: contesto
culturale, profilo storico, tecnica e stilistica, iconografia. La prima
parte del paratesto (peritesto) rappresenta una sorta di contiguità
fisica al pezzo che è mostrato: dalla semplice didascalia con i dati di
emissione sino alla scheda di almanacco filatelico. Nell'ambito
dell'allestimento della nostra collezione tale elemento può essere
determinante, ancor più per quella sezione "moderna" ove la
storicizzazione, normalmente operata per i valori più antichi, non è
possibile e dove la semplice didascalia tecnica e tematica rischia di
non catalizzare a sufficienza l'attenzione di chi guarda o addirittura
di affaticarlo.
Come sempre, per darvi un'idea del "prodotto finito"
,
sperando di aver offerto una interessante panoramica tecnica, vi
rimando alla visione degli album che ho citato, spunto filatelico che ha
dato vita a questo ennesimo post.