Quinta avventura per Hap & Leonard. "Ruble Tumble" dalla penna di Joe R. Lansdale

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Avvertenza

Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come
 me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.

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⭐ ⭐ ⭐ Buono
⭐ ⭐ ⭐ ⭐ Ottimo
⭐ ⭐ ⭐ ⭐ ⭐ Eccellente

La mia valutazione su questo libro:
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Non c’è due senza tre, non c’è quattro senza cinque. “Rumble Tumble” di Joe R. Lansdale (Einaudi, 2004) è, infatti, la quinta avventura della saga della coppia di investigatori fuori dai generi più dissacrante, ruvida e istintiva che sia mai esistita: Hap & Leonard. Talmente “fuori” da meritarsi, negli States, una serie televisiva tutta loro con Hap Collins interpretato da James Purefoy e Michael Kenneth Williams nei panni di Leonard Pine. In questo nuovo capitolo, tutto azione e schizzi di sangue, conditi nel perfetto stile Lansdale da un linguaggio urticante, ovvero da shock anafilattico per i puritani del bel parlare, e da una satira altrettanto pungente, l’autore texano si riconferma il maestro del pulp western, un Tarantino della scrittura capace, mai come in questo lavoro, di mescolare giallo, noir, thriller, horror e un pizzico di hard boiled, con una disinvoltura tale da confermare, se ce ne fosse bisogno, una genialità non comune.

Hap è bianco, malinconico, con un pensiero di sottofondo pacifista (tanto da essersi fatto un po’ di prigione per renitenza alla leva del Vietnam), pseudo intellettuale, propenso a votare per i Democratici. Leonard è un nero tutto d’un pezzo, veterano, favorevole al motto del Vecchio Testamento “occhio per occhio, dente per dente”, decisamente manesco, ma altrettanto pragmatico, è gay e va pazzo per il folk e, sarei disposto a scommetterci, il suo voto lo darebbe ai Repubblicani. Ma la cosa fantastica è che, forse grazie al fatto che gli opposti sovente si attraggono, sono amici per la pelle e condividono uno spiccato senso di giustizia e una capacità senza eguali di cacciarsi nei guai, ma mai di piccolo cabotaggio. Guai seri insomma!

Dopo l'uragano che gli ha distrutto casa (gran finale di “Bad Chili” - Einaudi, 2003), Hap si è trasferito a casa di Leonard: una convivenza certamente e prevedibilmente non facile, al punto che, mutande sporche sotto il divano a parte, Hap medita seriamente di andare a stare con la sua nuova fidanzata, la bella infermiera Brett, che non fa sconti nel linguaggio, così come nella voracità sessuale. Cosa, quest’ultima, che tanto aiuta Hap nell’autostima calante da crisi di mezza età che lo vede lavorare come buttafuori in un locale non proprio d’alta classe ed innalzare la propria glicemia a colpi di donuts.

A Lansdale, che sul personaggio femminile di Brett aveva lavorato di fino nel precedente episodio, questa donna deve davvero piacere molto, tanto che è proprio lei ad accendere la miccia di questa nuova nuova avventura e porla al centro di un cast degno di un caravanserraglio circense: un nano dai capelli rossi, logorroico e mellifluo come il serpente Sir Biss del cartoon Robin Hood; un bandito quasi pentito diventato predicatore pentecostale, un sicario ormai in pensione sovrappeso e alto un metro e ottanta, un contrabbandiere il cui zio sniffa diluente, il pilota dell’”aereo più pazzo del mondo” (a parafrasare il famoso Herbie anni Sessanta) e persino un armadillo di nome Bob.


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A farla breve, senza svelare troppo della trama, tutto inizia quando Brett è avvicinata dal losco nano Red Ames che le chiede 500 dollari in cambio di informazioni sulla figlia, Tillie. Lei chiede aiuto ad Hap, Hap ne parla con Leonard e come nella migliore tiritera della “fiera dell’est” tutti insieme andranno all’incontro per scoprire che Tillie, non esattamente una santarellina, è stata rinchiusa in un bordello dell’Oklahoma (fuori dunque dalla consueta giurisdizione di Lansdale) da un crudele trafficante di Tulsa, tal Big Jim Clemente, che l'ha condannata a prostituirsi per una banda di squinternati nazisti conosciuti come i Bandito Supremes, in quella che è considerata la loro roccaforte di confine.

Il resto è tutto un programma e il tentativo di liberare Tillie si trasforma in un vero "rumble tumble" che, tradotto letteralmente in linguaggio gergale, sta per “gran casino”. Il racconto è quanto mai movimentato, con scene e svolte davvero imprevedibili. Il che dona ritmo all’assetto narrativo, forse un poco al di sotto dei picchi adrenalinici di “Bad Chili”, ma compensato da una grandissima attenzione per tutti i personaggi che, da minori si alternano in primi piani fortemente caratterizzanti, grazie anche ad un’ironia che non manca mai e che ben si accompagna ad una scrittura dai toni noir che, a tratti pare quasi sovrastare lo stile pulp che caratterizza questo autore, capace di dosare con cura nel suo frullatore pugni e calci, lame e spari, polvere e sangue ottenendo una salsa dal gusto forte di adrenalina.

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Geniale poi l'ambientazione di frontiera in cui Joe R. Lansdale sviluppa la storia, una specie di deep web terreno in cui si muove nell’oscurità una certa società americana che si preferisce non raccontare, ma che esiste e che rappresenta una dimensione borderline tra il bene e il male. Uno scenario in cui Hap e Leonard, Brett e Tillie, buoni e cattivi, meno buoni e meno cattivi, eroi ed antieroi di confine si muovono cinicamente e usando un linguaggio che definire colorito equivarrebbe a classificare un sadico sociopatico come un tipo bizzarro.

A fronte di tutto ciò, ancora una volta e per chi piace il genere, il “texano pulp” ha confezionato un buon romanzo, grottesco, animato, popolato, convincente ed avvincente. Un romanzo in cui non manca il gran finale e nemmeno l’idea che la speranza, quella di una sorta di quiete dopo la tempesta, sia l’ultima a morire.
e inoltre