“La cucina degli scrittori: letteratura e cibo in Emilia-Romagna” un libro che accende conoscenza ed appetito

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Avvertenza
Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come
 me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.

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La mia valutazione su questo libro:
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A prima vista può apparire strano, ma il legame tra letteratura e cibo è antico come il mondo, d’altro canto persino l’Antico Testamento non si risparmia nel raccontare di quel peccatuccio originale che, a tutti gli effetti, di gola è stato, giacché a tentare Eva, serpente a parte, è stata una bella, rotonda, dolce e succosa mela. Per me poi, che nelle vene ha sangue emiliano e, data l’età, anche una bella dose di statine per contrastare il cicciolo di puro suino o il burro a fiumi sui tortelli d’erba, ogni ricetta è come una poesia ed ogni portata come un racconto che affonda le sue radici nel territorio, nella tradizione, nella cultura.

Tutto il preambolo per presentarvi un libro edito nel 2019, pensate un po', dall’Istituto dei Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna (ISBN 9788897281832). Se il pensiero è corso ad una classica brochure promozionale, allora cacciate subito questa immagine dalla testa, perché parliamo di un volumetto di ben 160 pagine, tra l’altro disponibile gratuitamente in versione ebook nel formato pdf, formato scelto per la meglio mostrare la ricchezza di immagini che l’opera contiene. Il titolo è presto detto “La cucina degli scrittori: letteratura e cibo in Emilia-Romagna”, curato da Alberto Calciolari, Isabella Fabbri e Luciana Finessi, ma denso di interventi e collaborazioni che si faticherebbe a citarle tutte.

Il volume è stato presentato in moltissime occasioni, in gran parte letterarie, spesso aventi come chiave di lettura proprio il connubio tra cibo e letteratura, un rapporto forte e senza tempo. Ha dato vita anche ad una mostra itinerante volta a valorizzarne i contenuti e, al contempo, alla possibilità di riscoprire la geografia e le tradizioni di una regione con una chiave di lettura diversa, sottolineando il fatto che l’Emilia Romagna ha fatto della sua produzione agroalimentare e delle sue eccellenze gastronomiche una questione “di vita”, non solo per i punti di forza legati ad economia e turismo, ma per la qualità della vita stessa, per il piacere di esistere. Un piacere che intinge in ogni sentimento dell’animo umano e ci fa sentire a casa, così come ne “Un Paese” ebbe a scrivere Cesare Zavattini: “Nessuno crederà che una volta ebbi la voglia repentina di mangiare del pane del mio paese, così partii sui due piedi da Milano, e quella notte mi addormentai col letto pieno di briciole”.

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Il libro raccoglie saggi dedicati a quattordici autori ai quali Emilia e Romagna hanno dato i natali o offerto ospitalità, dall’Ariosto a Tonino Guerra, ed al loro rapporto con il cibo. Tutti i racconti sono opera di diversi studiosi, tra cui i responsabili delle Case Museo dei Poeti e degli Scrittori. Ricco di immagini, il libro presenta anche una piccola antologia di testi letterari e poetici degli stessi autori e il che, credetemi, non è poca cosa, in quanto stigmatizza il legame tra letteratura e cultura della buona tavola, tra l’equilibrio necessario per sincronizzare mente e corpo. Sarebbe strano fare diversamente in quanto cibo è sinonimo di vita, è storia sociale, tradizione e quindi geografia, invenzione e dunque cultura. Indagare il suo ruolo nella produzione letteraria di alcuni importanti autori italiani non è un banale pretesto per fare promozione occulta di un territorio, nemmeno una sbirciatina sulla tavola di qualche illustre letterato, ma è una occasione per scoprire di questi autori aspetti inediti che ci aiutano a comprendere meglio la loro opera e i loro tempi.

In tempi recenti, ad esempio, sono diverse le operazioni editoriali che ci prendono per la gola, o meglio sfruttano la tavola quale legante per dare corpo ad un’antologia di racconti. Fa da esempio “Giallo uovo: ne uccide più la gola che la spada” (che ho recensito), Una graziosa antologia di racconti gialli, tra i cui autori spiccano nomi interessanti del genere italiano: Giorgio Faletti, Tullio Avoledo, Giacomo Gardumi, Giulio Leoni, Gianni Biondillo, Emiliano Gucci, Loriano Macchiavelli ed altri.

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Dai banchetti dei poemi omerici in poi la letteratura si è spesso avventurata nelle sale da pranzo e nelle cucine e ha alzato i coperchi di molte pentole, registrando storie e ricette, menù e ricordi, sapori e abitudini alimentari. E così fa questo libro che apre differenti parentesi tematiche: così nel “C’era una volta in tavola” scopriamo che le commedie di Ludovico Ariosto erano recitate in apertura dei sontuosi banchetti imbanditi per la corte rinascimentale dei signori di Ferrara oppure che il “porco”, del quale è tale il rispetto da non buttarne via nulla, può vantare elogi declamati da Giuseppe Ferrari; in “Ricettari a confronto” riscopriamo Pellegrino Artusi, autore del più famoso manuale di cucina ad uso delle famiglie italiane, originario della Romagna, terra di forti passioni e sapori; nelle “Prose, poesie e menù dell’Italia unita” ritroviamo Oriani, il Carducci di fine ‘800 dove cucina significa riappropriarsi del proprio mondo e degli amici più cari, il Pascoli con il suo omaggio alla piada romagnola, grande, rotonda e bianca come la luna.

E che dire del “Novecento di mare e di terra” in cui a far da interprete troviamo Cesare Zavattini, personalità poliedrica e autorevole anche in campo gastronomico, tanto da dettare agli amici ristoratori una sorta di codice della buona tavola. Accanto a lui i litigiosi Peppone e Don Camillo, personaggi a noi italiani tanto cari grazie ai film a loro ispirati e che, creati dalla penna di Giovannino Guareschi, trovavano nel cibo un ruolo di soluzione dei loro eterni conflitti. Quello stesso Guareschi che, come scrive nella prefazione Simona Caselli, “con il suo ‘Mondo piccolo’ ci fa scoprire la cucina emiliana, ora conosciuta e apprezzata in tanti Paesi ma che solo cinquanta o sessanta anni fa era patrimonio locale e solo delle giornate di festa o più precisamente, di quelle in cui si avevano ospiti a cui si dedicava il meglio della dispensa e della cantina”.

Giulio Cesare Croce autore del Bertoldo, ci racconta in questo lavoro la faccia nascosta del cibo, quella che trasuda fame e fatica, quella che si affanna per unire pranzo e cena con i prodotti di un’agricoltura povera e di pura sussistenza. “Chi è uso alle rape non vada ai pasticci” sentenzia Marcolfa, giusto epitaffio per la fine di Bertoldo. Ci sono persino, e guai a dimenticarli, i letterati di passaggio: Grazia Deledda e il marchigiano Leopardi, temporaneo ospite in terra d’Emilia che tornando nella sua Recanati mai dimenticò l’emozione della generosa tavola che lo aveva accolto.

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Chiudo questo mio invito alla lettura ed alla buona tavola con il pensiero che corre al Cesare Zavattini raccontato in questo libro, alla sua onesta passione per la spalla cotta, prima lasciata a bagno per ventiquattr’ore, poi lessata e fatta raffreddare nella sua acqua; talmente vera la passione culinaria da fungere da ispirazione per una poesia inedita: “Magnà la spala calda”.

Magnà la spala calda in cumpagnia
dadlà dal Po
l’è acsè bel
c’ogni tant am vé det
andom pian putei
par sluntanaà al mument
che i tvaioi i sia strafugnà
i bicer vöd cun li labradi
in s’iurlu.

ovvero

Mangiare la spalla calda in compagnia
di là da Po
è così bello
che ogni tanto mi viene detto
andiamo piano ragazzi
per allontanare il momento
in cui i tovaglioli siano spiegazzati
i bicchieri vuoti con le labbrate
sopra gli orli.