Il pianeta che respira: lo studio del clima e della sua evoluzione curato da John Gribbin. Riscoperto!

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Avvertenza

Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.


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⭐ ⭐ ⭐ Buono
⭐ ⭐ ⭐ ⭐ Ottimo
⭐ ⭐ ⭐ ⭐ ⭐ Eccellente

La mia valutazione su questo libro:

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Passeggiando all’interno di una riserva naturale in compagnia di mio figlio, adolescente della generazione Alpha, mi sono reso conto di quanto la sua grande sensibilità ed attenzione al tema ambientale e climatico, non è però accompagnata da una cultura scientifica di base relativa allo studio del clima. Ora, è già di per sé apprezzabile l’attenzione a tali temi, ma la storia di ogni evento è quanto mai importante per comprenderne l’evoluzione e magari per recitare un mea culpa perché pur sapendo hai fatto poco o niente. Nel confronto dialettico con il mio paladino della causa ambientalista pareva quasi assente il fatto che di clima e ambiente già si stava parlando da molti anni e anche in modo complesso con uno sguardo al futuro. E che proprio niente non è stato fatto!

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Ero colpito di notare quanto mio figlio insisteva nel parlare di “impronta climatica” o di carbon footprint (impronta di carbonio), misura che esprime il totale delle emissioni di gas ad effetto serra espresse generalmente in tonnellate di CO2, ma senza però una precisa conoscenza di come tale sensibilità si sia sviluppata negli anni e quali problemi già si erano portati all’attenzione, dei meccanismi che hanno dato origine alle grandi glaciazioni, della genesi dell’effetto serra o dei buchi nello strato di ozono che circonda il nostro pianeta. Insomma, sentivo l’esigenza di fargli comprendere anche la percezione della mia generazione sui cambiamenti climatici e su quello che noi chiamavamo semplicisticamente “inquinamento”, così come le affascinanti teorie sulla Terra vista come un unico grande e complesso organismo vivente: Gaia. Di gran moda negli anni Ottanta.

Ecco allora che mi sono ricordato di un saggio pubblicato nel lontano 1988 (trentacinque anni orsono) dal titolo “Il pianeta che respira” in cui, John Gribbin, s’era preso la briga di coordinare e rendere accessibili ad un pubblico più vasto una serie di interessanti interventi scientifici su questo argomento. Il saggio, ed è giusto sottolineare che di questo si tratta e non di un manifesto ecologista o di una biografia di contestazione del sistema, è un’antologia di articoli sul clima ed i suoi effetti antropici, tratti da New Scientist. Ed è forse il rigore della scienza che quasi impone, in questo libro, di decolorare al massimo l’aspetto politico. Non è un caso quindi che le implicazioni sociali e umane di quanto è raccontato vi compaiano molto stemperate, ma proprio per questo appaiono più efficaci. Ciò però non significa che tale argomento sia ignorato, anzi una parte del saggio pone proprio l’attenzione ai riflessi politici, economici e militari dei rapporti tra uomo e clima.

Per chi non lo conoscesse, New Scientist, come settimanale “scientifico” vide la luce nel novembre del 1956, grazie ad un gruppo di giornalisti e di scienziati il cui obiettivo era quello di trattare tematiche scientifiche e di ricerca. La formula non era certo divulgativa e, come ha scritto Enrico Guazzoni che cura la prefazione del libro di cui parlo, “non concedeva nulla alla moda o all’evasione”. Tuttavia esso ha reso disponibili tantissime notizie sul mondo della scienza e della tecnica, sdoganandole dal limbo accademico, senza trascurare curiosità e stranezze, col piglio di autori di grande livello tra i quali non pochi premi Nobel, buttando nella mischia anche nuove teorie, fortemente criticate prima di diventare il paradigma comune.

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Nato nel 1946, John Gribbin, si è laureato in astrofisica all’Università di Cambridge. È autore di numerosi best-seller sempre nell’ambito della divulgazione scientifica; i suoi libri sono stati tradotti in numerose lingue e hanno ricevuto premi e riconoscimenti sia in Inghilterra che negli Stati Uniti. Con cura egli ha attinto dunque ad uno dei pilastri della diffusione della cultura scientifica nel mondo, una testata che ha saputo fare la cronaca della “storia in atto”. E ciò non è poco. La prima parte del libro ci presenta l’ipotesi, davvero affascinante di Gaia e ci parla della storia dell’atmosfera terrestre. Il padre scientifico di Gaia è lo scienziato inglese James Lovelock che ha formulato l’idea della Terra come organismo, un teoria nata già nel periodo delle prime esplorazioni spaziali e, che pur avendo sollevato molte controversie, è piaciuta molto alla mia generazione; un’ipotesi che ha generato articolate suggestioni nella direzione di una percezione del pianeta come un sistema unitario. Un pensiero che, forse, ci ha illuso di poter contare su una sorta di reattività anticorpale al cambiamento e che, col senno di poi, pare più filosofico che scientifico.

Il saggio si sofferma sui cambiamenti climatici naturali e, a rileggerlo oggi a distanza di oltre trent’anni, ci propone le prime esaustive analisi delle cause della siccità che già andava diffondendosi nel mondo, facendoci riflettere su cosa si poteva fare e su cosa non siamo stati in grado di fare, sottovalutando probabilmente la gravità della situazione. C’è poi una sezione importante che tratta della fascia d’ozono e dei pericoli prodotti dalla sua distruzione, una serie di informazioni che consentono ora di meglio comprendere, a chi non lo ricorda, il perché di alcuni provvedimenti di messa al bando di sostanze letali per la barriera di ozono.

“La tecnologia moderna e le nuove pratiche agrarie hanno elevato la capacità produttiva dei terreni agricoli nel mondo, precedendo talora lo sviluppo demografico: ciò tuttavia non è di grande sollievo per le popolazioni che muoiono di fame nel Sahel o in Etiopia in seguito a modificazioni climatiche di cui noi europei abbiamo grande responsabilità, non ovviamente nel senso che siamo responsabili del fatto che per anni non piove, bensì per avere praticato per secoli la monocoltura e avere così impoverito il suolo e averlo messo alla mercé di una desertificazione dilagante, che sta distruggendo le aree coltivabili del nostro pianeta a una velocità spaventosa e di cui non ci accorgiamo solo perché siamo volutamente miopi, anche nei confronti di quegli eritrei che in sempre maggior numero affollano le nostre metropoli per sfuggire alla guerra e al deserto avanzante.”

Nulla in questo saggio è stato dimenticato: le piogge acide quale conseguenza delle trasformazioni ambientali, i problemi legati all’aumento di tenore dell’anidride carbonica, responsabile dell’effetto serra e le trasformazioni climatiche legate complessivamente all’inquinamento atmosferico. C’è persino un apocalittico, fantascientifico scenario in cui si valutano gli effetti di una manipolazione del clima che rischierebbe di innescare effetti incontrollati su scala planetaria.

Riprendendolo tra le mani oggi è possibile ritrovare la modalità con cui questi temi apparvero a suo tempo. Sorprende poi notare come le domande che ci si poneva in quell’epoca (gli oceani e le foreste pluviali assorbiranno l'eccesso di anidride carbonica? La temperatura media annua del nostro pianeta si innalzerà anche solo di pochi gradi? Ci sarà uno scioglimento dei ghiacci polari, con conseguente innalzamento del livello dei mari?) suonano oggi come delle affermazioni e non più come dei quesiti, come delle drammatiche, irreversibili certezze, ben esplicitate in libri come “La nostra casa è in fiamme” dell’attivista Greta Thunberg.

Pur essendo oggi un testo datato (comunque un battito d’ali rispetto ad un’era geologica), esso mantiene intatto, con i suoi dati e i suoi grafici, il suo valore didattico, ancor più se si vuole tentare un’analisi storica critica su cosa si poteva fare e non si è fatto pur sapendo cosa stava accadendo. Esso prende per mano il lettore e gli fa percorrere il cammino della scoperta e dell’ipotesi, ci offre le contraddizioni della scienza, le opposte e contrapposte ragioni e gli interessi. Rende più ricche le nuove generazioni e fa riflettere le vecchie sulle risposte che già si poneva e che, come già si scriveva allora “ognuno deve cercarsele nella propria attività quotidiana, magari evitando di usare la macchina e sostituendola con la bicicletta o nel non usare gli spray. Piccole cose che possono creare grandi impegni”.

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