La nostra casa è in fiamme: la nostra battaglia contro il cambiamento climatico.

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Avvertenza
Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come
 me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.

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La mia valutazione su questo libro:
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“Non si può pretendere che noi uomini ci interessiamo volontariamente ad una crisi che nessuno considera tale. Non si può scaricare la responsabilità sui singoli individui. Il trasporto aereo porta tutto all’estremo, ma la società della crescita non accetta che la strada da percorre a volte richieda qualche passo indietro. Conta solo andare avanti”.

Il messaggio è chiaro, il tema lo è ancora di più, anche se l’autrice non è la Greta con l’impermeabile giallo che parla ai grandi della terra, ma è la mamma: Malena Ernam. Il mantra ambientalista è ripetuto  all’infinito, pagina dopo pagina, scena dopo scena (non di capitoli si parla nel libro). Diciamolo subito, pur nell’impegno meritevole alla causa del cambiamento climatico ed alla necessità di dare una svolta decisa alla nostra vita e alle nostre abitudini, il libro è una straordinaria operazione editoriale, a mezza via tra un saggio, un diario, una raccolta di principi esistenziali ed una saga familiare non troppo gioiosa. Preponderanti i ruoli della vera autrice e delle figlie: Greta e Beata Ernam, la sorella che ha preso il cognome della mamma, ma soprattutto delle patologie autistico comportamentali contro cui le tre donne hanno lottato e continuano caparbiamente a lottare.

L’inizio è pura citazione: una raccolta di discorsi replicati dai media di tutto il mondo che Greta Thunberg ha fatto nelle più disparate occasioni, a Londra, a Marcia, a Davos, davanti ai potenti della terra, a quelli che tanto blaterano di scelte e svolte ecologiste e che poi se ne fregano della “generazione Thunberg” e tirano avanti, continuano ad usare aerei per spostarsi, mangiano carne ogni giorno, ingigantiscono la loro nefasta impronta ecologica. Sono frasi che il lettore trova in tutto il libro, sparse ovunque, replicate con costanza, talvolta sottile caparbia impertinenza, in quel gioco che vorrebbe chi legge incapace di comprendere la gravità della situazione del pianeta (e forse è così), il conto alla rovescia verso l’irreversibilità del cambiamento climatico, verso la nostra estinzione. Non lo capisci e io te lo ripeto, fai finta di niente e io te lo ripeto. Te lo ripeto e te lo ripeto ancora in una sorta di effetto eco.

Quindi, parliamoci chiaro, non è un saggio articolato alla conoscenza accademica di eventi e sistemi alla Jeremy Rifkin. Tanto meno un trattato come “Il pianeta che respira” di John Gribbin o un saggio di un certo rigore come “Il punto critico i grandi effetti dei piccoli cambiamenti” di Malcolm Gladwell, giusto per citarne alcuni.  “La nostra casa in fiamme” è la narrazione di una presa di coscienza generazionale sul proprio incerto futuro in chiara opposizione ad un’altra generazione che non è disposta a nessuna rinuncia rispetto alle conquiste economiche e di benessere che giura di aver conquistato a lacrime e sangue. Una generazione che fatica a rinnegare o a demonizzare ciò che ha fatto in virtù di un futuro che non sarà il suo, ma di altri. Quasi a dire io non ci sarò più che vuoi che me ne importi, slogan di una società individualista sino all’estremo.

“Dite sempre che i bambini sono il futuro e che per i vostri figli fareste qualsiasi cosa. Sentirvelo dire ci dà speranza. Se lo pensate davvero per favore ascoltateci. Non vogliamo il vostro incoraggiamento. Non vogliamo i vostri regali, i vostri voli charter, i vostri hobby o tutta la vostra limitata libertà di scelta. Vogliamo che vi buttiate seriamente in questa grave crisi di sostenibilità che è in corso intorno a voi. E vogliamo che cominciate a dire come stanno le cose”.

Il tono da “disaster movie” ricorre con frequenza nel libro e nelle citazioni riferibili al pensiero di Greta, ma ne emerge anche un certo effetto paradosso in quello status sociale che, ben inteso, la giovane Greta non ha voluto, nè scelto, ma in cui si è trovata ad esistere. Un benessere in qualche modo frutto del lavoro e della notorietà della madre, Sara Magdalena Ernman, meglio nota come Malena Ernman, classe 70, celebre cantante e mezzosoprano svedese che per i suoi meriti in campo musicale è stata nominata Hovsångerska dal re Carlo XVI Gustavo di Svezia. Una madre che insieme al padre, l’attore Svante Thunberg (che nel libro svolge il ruolo gregario di casalingo quasi perfetto), ha shakerato per bene la prole, spostandosi da una città all’altra del pianeta per concerti ed eventi e non certamente a piedi e zaino in spalla. Lottando comunque tra gli impegni di una meritata fama e le necessità familiari.

E, in effetti, la parte più emotivamente avvincente di questo libro è la saga familiare nel cui racconto Malena narra della presa di coscienza dell’attivista bambina Greta, del suo strano comportamento scolastico, del mutismo selettivo che la caratterizza, di quell’anoressia che la portò quasi a morire, sino alla diagnosi della sindrome di Asperger, un disturbo annoverato fra quelli dello spettro autistico. Un calvario familiare insomma che, quando tocca, non salva nemmeno i ricchi. Ancor più quando si accanisce sotto lo stesso tetto, perché è sempre chi scrive a raccontarci che, nel momento in cui la figlia Greta ritroverà nell’attivismo ecologista quella motivazione per uscire dal tunnel, sarà la seconda genita, Beata, a mostrare, forse per la resilienza tenuta nei confronti di un’attenzione familiare per anni accentrata sulla sorella, i segni di un forte disequilibrio emotivo e comportamentale il cui nome si scoprirà essere ADHD, un disturbo caratterizzato da livelli invalidanti di disattenzione, disorganizzazione, impulsività. Quello stesso disturbo di cui anche la madre scoprirà d’essere affetta, rimasto però latente per anni, compensato dalla passione per la musica e il canto.

“I disturbi psichici nei ragazzi tra i 10 e i 17 anni sono aumentati di oltre il 100% in 10 anni, quasi 190 mila bambini e giovani in Svezia soffrono di qualche disturbo psichico”.

Eccola quindi la casa in fiamme che emerge quale protagonista del racconto, quella di una famiglia che lotta per le proprie figlie. A questo punto si ha però l’impressione che il manifesto ecologista che dovrebbe costituire l’ossatura del libro si trasformi in una denuncia sulle forti carenze della società svedese, ancor più quando rispetto alla scelta di Greta di non andare a scuola, scioperando per rivendicare una svolta ecologica planetaria, si vuole evidenziare le falle del sistema educativo e scolastico nordico. Per non parlare poi di un welfare insufficiente a garantire alle madri tempo e risorse per assistere i figli, con tanto di cifre e statistiche sui congedi per malattia ed un coerente tentativo di correlare femminismo e sostenibilità.

“Una società non può affidarsi alla fortuna o alla disobbedienza civile, la maggior parte dei genitori non ha 250 mila follower, la maggior parte dei genitori non può stare a casa a tempo pieno senza prendere un congedo per malattia. La maggior parte dei genitori non può contare sul proprio status sociale”.

Sarebbe ingeneroso da parte mia dire che ci sono più dati sulle imperfezioni della società svedese rispetto a quelle di carattere ambientalista (anche queste di tanto in tanto compaiono, anche se in modo più didascalico), ma le prime distraggono dalle seconde in modo preponderante.

Fatto salvo per quel torrente che è il racconto domestico che mescola successi, paura, amore ed ansia genitoriale, per il resto il libro è un insieme di rivoli che scendono a valle: annotazioni, pensieri, ricordi, sparpagliati tra le pagine, talvolta quasi repliche oniriche di un già scritto poche pagine prima, in cui si fatica un po’ a trovare una direzione precisa e che si perdono prima di arrivare al mare.

Il filone resta quello di “Julia Hill la ragazza sull’albero” (TEA), la storia di un’attivista ambientale che ha vissuto sopra una sequoia gigante per 738 giorni, dal 10 dicembre 1997 al 18 dicembre del 1999. Lo scopo è quello di parlare a far parlare di una crisi che c’è, che esiste, che ci minaccia tutti, ma di cui i più si ostinano ad ignorare.

«Non voglio la vostra speranza. Voglio che proviate la paura che provo io ogni giorno. Voglio che agiate come fareste in un'emergenza. Come se la vostra casa fosse in fiamme. Perché lo è».

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