Con L'età degli orfani, Laleh Khadivi da voce a chi non ce l'ha e racconta del popolo curdo

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Avvertenza
Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come
 me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.

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La mia valutazione su questo libro:

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La lettura spesso ci sorprende nel farci sobbalzare tra corsi e ricorsi della storia, nel mostrarci come il destino spesso muta improvvisamente di rotta e si cimenta in repentine inversioni di marcia. Se con i romanzi di Antonia Arslan (“La masseria delle allodole”, “La strada di Smirne”) il lettore ha potuto immergersi nell’orrore disumano dello sterminio degli Armeni nel 1915 ad opera dei turchi e delle popolazioni curde dell’Anatolia, è con “L’età degli orfani” (Rizzoli, 2009) di Laleh Khadivi che il timone inverte la rotta e, con un improvviso giro di boa, s’inabissa in uno scenario di repressione etnica e culturale dove, questa volta, sono i Curdi a farne le spese ad opera del “moderno” e nascente Iran del primo Scià di Persia Reza Shah Pahlavi.

I fatti di cui ci narra Laleh Khadivi iniziano nella prima metà degli anni Venti del Novecento e hanno sullo sfondo il sogno d’indipendenza curdo ed il miraggio di una nazione, il Kurdistan, capace di proteggere tra le alte montagne a cavallo tra Iran e Turchia storia, lingua, cultura e tradizioni di un popolo fiero. Una nazione promessa, ma subito dopo tradita (era il 1923) e divisa arbitrariamente tra quattro entità: Iraq, Iran, Turchia e Siria. Nell’Iran nascente e autoritario non c’era spazio per le minoranze ed ebbe quindi inizio la repressione, non dissimile da quella, protrattasi sino ai giorni nostri, in Turchia.

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In un’intervista Laleh Khadivi ha affermato che “puoi entrare dentro un personaggio e raccontare la tua storia a una persona alla volta se usi il linguaggio della poesia, piuttosto che i fatti. È un modo seducente per raggiungere le persone”. Se qualcuno quindi pensa ad un saggio sull’eterna ed irrisolta “questione curda” si sbaglia.

Questo libro non è un resoconto dei fatti, è un romanzo puro. Lo è nelle liriche, fortemente poetiche, talvolta addirittura oniriche nel loro linguaggio trascendente, magico e ridondante, nella cui eco c’è però il rischio di smarrirsi, perdendo il ritmo della narrazione e sprofondando in una letargia che non incoraggia a proseguire. Lo è nell’approccio narrativo, nel quale l’autrice inventa i personaggi e li inserisce nel contesto delle sue origini trovando in loro il proprio sangue. Paradossalmente, come ha spesso dichiarato, accantonando ciò che ha ascoltato nella narrazione dei parenti che le serviva solo per imparare da dove veniva, visto che è arrivata negli Stati Uniti da bambina ed è cresciuta come un’americana della West Coast. Lo è quando, tra le righe, si scorgono gli scrittori americani che l’hanno influenzata, William Faulkner in primis.

"Proprio come io sono tuo padre, un giorno diventerai padre e la terra sarà che ci hanno generato, le linee di sangue curdo non si incrociano ma confluiscono insieme dal loro tempo al nostro”. (“L’età degli orfani”)

La storia è apparentemente retta sulla linea del tempo, se non fosse che, di tanto in tanto, la voce narrante cambia d’aspetto e di personalità. In fondo si nota lo sforzo creativo di lasciare correre la mente e la penna per inventare personalità incisive, perché è chiaro che nessuno dei parenti di Laleh abitava davvero il mondo immaginario che lei ha costruito nell’intreccio delle parole. Con questa modalità Khadivi ci racconta la storia, ma sarebbe meglio dire la vita, di un bambino curdo strappato al seno caldo e alle canzoni della mamma e alla magia di un cielo puro in cui egli sogna di volare, librandosi sopra i monti Zagros, la schiena irsuta e robusta della sua terra tormentata. Troppo giovane per la lotta, egli dovrà però affrontare la battaglia, dovrà vedere il padre umiliato e ucciso dai soldati dello Scià. Catturato dalle truppe iraniane che hanno invaso la sua terra, egli crescerà come “uno di loro”. Dovrà affrontare una nuova vita da orfano, una rinascita ed nuovo nome, una nuova lingua ed una nuova patria, diventare uno spietato cacciatore di ciò che era, ma in fondo anche di ciò che è diventato. Perché Reza ha la guerra dentro: per metà figlio dell'Iran e per metà curdo fatto di roccia, stelle e cielo, è il nemico di se stesso, destinato a immaginare per sempre il sogno impossibile di una casa.

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“L’età degli orfani”, acquistato in anteprima mondiale da Rizzoli alla Fiera di Francoforte, è il primo romanzo di Laleh Khadivi e, nonostante le critiche positive del mondo letterario anglosassone, francamente non mi ha convinto fino in fondo, tanto da essere l’unico tradotto in italiano della trilogia che nel tempo l’autrice ha costruito ispirandosi ai personaggi del libro d’esordio, tre generazioni di guerra, rivoluzione ed esilio. Dopo questo romanzo sono infatti stati pubblicati da Bloomsbury: “The Walking” (2012) e “A good country” (2017).

L’autrice è nata da una famiglia curda in Iran nel 1977. e subito dopo la rivoluzione iraniana, nel 1979, emigrò negli Stati Uniti stabilendosi nella Baia di San Francisco. A ragion veduta dei suoi genitori direi, visto che l’ayatollah Khomeini, dopo il suo ritorno in Iran nel 1979 e la creazione della Repubblica Islamica, presto si rivelò più repressivo e più feroce nei confronti delle minoranze del regno dello Scià. Khadivi ha lavorato a lungo come regista di documentari. Ha insegnato scrittura creativa in diverse università americane e dal 2002 ha iniziato a condurre ricerche sui curdi, in particolare sul loro destino nella regione sud-occidentale dell'Iran sotto il primo Scià.

A “L’età degli orfani”, la cui conclusione si perde nel sogno di un ritorno al cielo e alla terra, al vento ed al fuoco, al latte materno che regala la vita, resta il merito di parlarci di un mondo imperfetto da punti di vista non scontati, dando dignità a popoli vittime della storia e parole a persone che non hanno voce. Utilizzando la poetica del linguaggio per raccontare argomenti come la guerra, le persecuzioni etniche, la relazione tra uomini e donne, temi tanto attuali quanto ancestrali.

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