Un genitore quasi perfetto di Bruno Bettelheim per guardare a noi genitori con occhio diverso


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Avvertenza
Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come
 me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.

⭐ Sufficiente
⭐ ⭐ Più che discreto
⭐ ⭐ ⭐ Buono
⭐ ⭐ ⭐ ⭐ Ottimo
⭐ ⭐ ⭐ ⭐ ⭐ Eccellente

La mia valutazione su questo libro:
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Nel caso di questo saggio da titolo “Un genitore quasi perfetto” (1998) appare chiaro che, per la specificità del tema che esso affronta, il mio è veramente solo un suggerimento di lettura, balzando all’occhio la mia incompetenza nel poter offrire un’analisi critica dei contenuti, e dovendomi quindi limitare a considerazioni sulla fluidità della scrittura o sulla facilità o meno di comprensione.

Tutto ciò perché l’autore, Bruno Bettelheim, qui tradotto da Adriana Bottini, è stato un illustre psicologo dell’infanzia, autore di numerose opere sull’argomento e “esperto” dell’autismo. Tuttavia, il personaggio, che è mancato nel 1990, non è esente da polemiche, in primis quella del paradosso che opponeva la sua idea sulla scarsa utilità, se non sulla lesività, di un approccio educativo basato sulla punizione, al fatto che, negli anni successivi alla sua morte, sia emerso che nel suo Istituto di Chicago si facesse largo ricorso alle punizioni per mantenere la disciplina. Non ho modo, chiaramente, di confutare tale notizia. Resta comunque il fatto che i suoi libri hanno sempre goduto di buona reputazione e che l’ambiente professionale in cui egli orbitava non è certamente facile o esente da rivalità, pettegolezzi, calunnie. Dopo aver superato un’ischemia, il 13 marzo 1990, nel giorno in cui si celebra l’anniversario dello Anschluss, è morto suicida a Silver Spring.

E dire che Bruno Bettelheim di ambienti ostili ha una certa esperienza, poiché in quanto ebreo viennese, nel 1938 visse sulla sua pelle l’esperienza della deportazione e del lager nazista. Scampato agli orrori dei campi di concentramento di Dachau e di Buchenwald, emigrò negli Stati Uniti nel 1939. La sua tragica esperienza fu trasferita nelle pagine del libro “Il prezzo della vita” (1960), in cui egli raccontò l’orrore del campo di sterminio subito durante il conflitto da milioni di deportati. Si tratta di un’esperienza che segna per sempre e che obbliga l’individuo a porsi delle domande, a fare riflessioni profonde e soprattutto a mettere in atto, a costruire dei meccanismi a difesa della propria integrità interiore.

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“Il segreto” scrive l’autore nella sinossi di questo saggio, “sta nell'essere un genitore ‘quasi’ perfetto, cercare di comprendere le ragioni dei propri figli, mettersi nei loro panni, costruire con loro un profondo e duraturo rapporto di comunicazione emotiva e affettiva. Solo questo scambio paritario consente di riconoscere, affrontare e risolvere i problemi che via via si presentano nella vita quotidiana della famiglia: dalle collere e dai capricci ai terrori notturni della prima infanzia, dal rifiuto della scuola alle ribellioni adolescenziali, dalla questione della disciplina a quella delle punizioni, dalle prime esperienze e dal gioco sino alla costruzione dell'identità del bambino”.

Ammetto che quando presi tra le mani questo libro provai una certa inquietudine, anche perché ero a mezza via tra il primo ed secondo dei miei figli. C’era la curiosità morbosa di sapere se avevo fatto bene prima e se avrei potuto fare meglio poi, ma anche il timore di non comprendere fino in fondo l’assetto teorico e psicologico del libro che conta quasi 450 pagine (Universale Economica Feltrinelli). Credo mi abbia salvato scoprire che il titolo originale recitava “a good enought parent” ovvero “un genitore abbastanza buono” in cui la parola ‘abbastanza’ infonde una certa tranquillità, quasi già un’assoluzione al ruolo di genitore che esercitavo.

Il libro si legge bene. Si sforza Bettelheim di uscire dall’esoterismo accademico e riconoscere una platea interessata, ma non specialistica, desiderosa di imparare e di capire, ma senza doversi prendere necessariamente una laurea o cessare improvvisamente di essere quello che fino a prima della lettura si era. Qualche passaggio, lo ammetto, ha imposto, quando non meritato, una rilettura.

 “Il genitore deve resistere all’impulso di cercare di costruire il figlio che lui vorrebbe avere, e aiutarlo invece a sviluppare appieno, secondo i suoi ritmi, le sue potenzialità, a diventare quello che lui vuole essere, in armonia con la sua dotazione naturale e come risultante della sua individualissima storia”.


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C’è nel modo di classificare, ordinare ed esporre le cose qualcosa che ci fa immediatamente capire che si tratta di una sorta di bilancio professionale. Bettelheim tira le somme. Lo dice lui stesso che questo libro “rappresenta un po’ il condensato dei miei sforzi, portati avanti tutta la vita, per scoprire e verificare che cosa occorre per riuscire a crescere bene i nostri figli” e che quindi rappresenta un’attenta e profonda riflessione sul valore e sul significato delle dinamiche affettive nella crescita umana. Ci conferma, se ce ne fosse stato bisogno, che i nostri figli nei primi anni della loro vita costruiscono una propria identità partendo dalle identificazioni profonde che egli coglie nel suo recinto: condotte, modi di sentire e di pensare dei genitori, del mondo familiare, dell’ambiente sociale.

Il saggio è suddiviso in tre parti a loro volta segmentate in specifici soggetti: genitori e figli; lo sviluppo della personalità individuale; la famiglia, il bambino, la società. Le ultime pagine chiudono in degno modo questa lettura “desiderata”, altrimenti non comprerebbe il libro. Lo fanno perché entrano nel vivo di uno dei grandi dilemmi della genitorialità nel momento di passaggio tra le scuole che ancora chiamiamo elementari e le medie: non esiste Babbo Natale? Chi è il “vero” Babbo Natale, la Lepre di Pasqua. E il Diavolo.

E visto che è proprio il Diavolo a fare le pentole e non i coperchi sappiate che leggere questo saggio è utile, ma non ci basterà per essere un genitore quasi perfetto!