Un colpo al cerchio, un colpo al Regno: Veneto invaso
Il mio percorso collezionistico dedicato al Regno d'Italia, ancora in una fase pre evolutiva, si arricchisce di un nuovo tassello, un po' come se all'interno di un itinerario museale comparisse una nuova stanza, una nuova vetrina con esposti reperti in grado di offrire maggiori approfondimenti, quando non un itinerario fuori pista rispetto al tracciato principale di scoperta che si offre alla curiosità dei visitatori. Occasione irrinunciabile, dunque, per una divagazione storico filatelica, che è anche un po’ il sale di questo nostro hobby.
Il sinonimo di ogni disfatta, per un
italiano, porta il nome di un piccolo villaggio adagiato dolcemente
sulle rive del fiume Isonzo, poco oltre l’invisibile confine con la
Slovenia; in tutto millecento anime, una ex fabbrica di cioccolato ed
una piazza, punto nevralgico del vai e vieni del borgo. Kobarid, il suo nome slavo, poco ci ricorda, un punto perso nelle mappe tra boschi e cime. È solo nella nostra lingua, Caporetto, che si materializza d'improvviso la memoria della più grande sconfitta militare dell’esercito italiano.
Quella che intere generazioni hanno studiato sui banchi di scuola, così
grave che Mussolini, di Caporetto, aveva perfino cancellato il nome
dalle carte geografiche della nazione. Il 24 ottobre 1917, una
manovra lampo, concertata dagli austro-tedeschi a fondovalle, sorprese
le truppe italiane, prendendole alle spalle e lasciandole senza ordini.
In poche ore gli eserciti alleati di Austria e Germania arrivarono a
Caporetto a passo di carica. La battaglia qui era già persa. E la via
per la pianura friulana era spianata.
Le truppe austriache e
tedesche raggiunsero in soli due giorni Cividale del Friuli. L’esercito
italiano aveva perduto in 48 ore quanto aveva conquistato con enormi
costi umani in due anni e mezzo di guerra di trincea. Ed è esattamente
qui che ha inizio un’altra storia, meno nota: l'esodo biblico delle
genti friulane e venete, un evento senza precedenti nella storia del
Regno d’Italia.
Tutto si consuma in
poche settimane, dal 24 ottobre al riposizionamento delle truppe
italiane sul Piave, cioè al 9 e 10 novembre, quando gli artificieri
faranno saltare gli ultimi ponti sul fiume sacro alla Patria. Pochi
giorni, ma capaci di terremotare l’intero Triveneto e tutta la nazione.
Ad
essere coinvolte dall’invasione austro-tedesca sono due intere
province: quelle di Udine e di Belluno, metà Marca trevigiana e una
quindicina di Comuni del Veneziano, compreso il capoluogo lagunare. In
tutto oltre trecento Comuni. A fuggire da quest’area sono in 230 mila
civili. Ma a questi si devono aggiungere anche coloro che abitavano il
Veneto non occupato. In tutto si calcola che oltre mezzo milione di
sfollati e profughi in sole sei settimane si riversino nel resto
d’Italia da quello che oggi è chiamato il Nordest. Una massa
incontrollata di immigrati che lasciano in fretta tutto alle spalle:
casa, terre, beni, comunità. Scappano i feriti, gli ammalati. Senza più
alcun ordine. Sembrano mosche. Un fiume di sfollati che si muove
seguendo due direttrici: la prima verso Milano, dove ne transitano 62
mila e ne restano oltre 20 mila, e quindi il Piemonte e la Liguria. Gli
altri verso il Centro Italia ed il Sud. Firenze diventerà la capitale
dei profughi, a Napoli ne passano altri 70 mila.
Chi
è rimasto subirà la violenta occupazione austro-ungarica e tedesca,
diventando il bottino di guerra dei vincitori, liberi di sfogarsi dopo
anni di patimenti tra Carso ed Isonzo. Ne derivarono saccheggi,
requisizioni, fame e prigionia. Nella prima fase dell'invasione, fuori
dal controllo delle gerarchie militari, i soldati tedeschi ed ungheresi,
seguiti da bosniaci e croati, si resero responsabili di numerose
violenze sulle donne, lasciandosi andare anche ad omicidi e torture,
massima espressione della disumanità della guerra.
particolare attenzione all'apparato didascalico
Come sempre ho cercato di sfruttare al meglio questa capacità dei francobolli, e dei reperti di natura postale e filografica in genere, di raccontare una storia. Come ho spesso avuto modo di scrivere, se il racconto che circonda il francobollo è in grado di soddisfare l'esigenza di conoscerne la natura, la sua origine, la sua storia e i mutamenti avvenuti nel tempo, ecco che la propria collezione perde quella valenza individuale e si trasforma in un mezzo, in un veicolo di conoscenza e di approfondimento capace di aprire gli orizzonti anche a chi non ha partecipato alla raccolta ed alla catalogazione. Ho quindi approntato alcuni fogli di album con notizie storiche per integrare quelli della serie Dominus (Bolaffi a 22 anelli) che, grazie ad un gradevole regalo di compleanno, erano entrati a far parte del mio insieme. Per omogenizzarli con l'insieme sono ricorsa alla ormai collaudata tecnica della clonazione grafica.
Come
in tutti i tracciati espositivi che necessitino di una introduzione ai
reperti principali, anche nel nostro campo, il ricorso a elementi
secondari, che pensavamo inutili ai fini della nostra collezione
"primaria", quasi sepolti nei magazzini del nostro virtuale
seminterrato, può avere effetti narrativi inaspettati. Nel mio
caso ho recuperato alcuni elementi postali che avevo da tempo in una
scatola, in parte perché filatelicamente non utili al momento, in parte
perché affrancati con valori di cui già avevo ampia disponibilità. Si
tratta di alcune cartoline viaggiate in periodi interessanti dal punto
di vista del profilo narrativo che volevo allestire, ma anche pregne di
quella iconografia bellica densa di propaganda patriottica che offre appieno l'atmosfera del momento nel nostro Paese.
L'indottrinamento dei soldati con scarsa dimestichezza nella lettura e nella pratica scrittoria fu affidato alle didascalie prestampate delle cartoline illustrate. Le immagini delle maestose cime dolomitiche sono decorate ai lati da una striscia tricolore, mentre nella parte bassa sono incisi versi, ispirati a sentimenti nazional-patriottici, tratti da poesie di Giosuè Carducci, Goffredo Mameli e Giovanni Bertacchi, quest'ultimo autore del “Canzoniere delle Alpi”. Le cartoline illustrate, divenute un fenomeno di massa, furono uno straordinario mezzo di propaganda bellica, di devozione alla patria, preservando il gusto della trasposizione favolosa in chiave eroica.
In
circolazione sin dall'estate del 1915, le cartoline illustrate della
serie “Vette d'Italia redente a libertà” s'inseriscono in quel contesto
propagandistico, imbevuto di retorica patriottica che, sul fronte alpino
della guerra di trincea, inneggiava alle “Alpi nostre”. La missiva
illustrata parte da Bassano, via di salita per la linea bellica
dell'Altopiano di Asiago e dell'irredento Trentino, ma anche bastione
difensivo, compresso tra il Brenta ed il Piave, di quella nuova linea di
confine che la disfatta di Caporetto del 1917 andrà a demarcare, con il
Veneto invaso dagli austro tedeschi.
Se le immagini di paesaggi alpestri e le trasognate
vaporose didascalie della propaganda irredentista delle “Vette d'Italia”
servivano ad allontanare l'idea della morte, sublimando le brutture del
conflitto in chiave quasi onirica, tutt'altra cosa erano gli slogan
interventisti coniati poco prima dell'entrata in guerra. Eloquente quello di
questa cartolina illustrata: “Fuori i barbari, viva l'Italia”. La missiva è
spedita da Fonzaso nel luglio del 1916, paese della provincia bellunese, a poco
più di cinquanta chilometri da Bassano, ma al di là del fiume Piave e quindi
dentro quella zona di occupazione austroungarica creata dalla sconfitta di
Caporetto dell'ottobre del 1917.
Prima dell'entrata in guerra, nel 1915, la popolazione italiana, anche se non
contraria all'intervento bellico, in realtà era indifferente o quanto meno
attendista. Grandi furono le manifestazioni degli interventisti, volte a
palesare una “guerra giusta” e far notare che la mancata entrata in guerra non
avrebbe consentito all'Italia, considerata imbelle nel quadro delle potenze
europee, di rivendicare quelle terre irredente, i cui abitanti agognavano il
rientro nella madre Patria. Da qui l'idea di manifesti, locandine e cartoline
illustrate volte a propagandare l'intervento. Mancavano quindici mesi a
Caporetto.
Questi documenti postali, semplici missive, se ben inserite ed armonizzate nel compendio grafico e collezionistico possono essere di grande aiuto per costruire una storia, una perfetta introduzione ai francobolli che seguiranno e che rappresentano evento e periodo. In ogni percorso espositivo, in quanto trama portante del racconto, l'oggetto rappresenta il testo.
L'oggetto è l'asse narrativo, non si cambia in quanto tale, e va dunque interpretato. Per farlo si ricorre a quello che gli addetti a lavori definiscono paratesto. Un elemento di supporto all'interazione tra reperto ed osservatore, una connessione il cui richiamo può avere differenti valenze: contesto culturale, profilo storico, tecnica e stilistica, iconografia. La prima parte del paratesto (peritesto) rappresenta una sorta di contiguità fisica al pezzo che è mostrato: dalla semplice didascalia con i dati di emissione sino alla scheda filatelica. Nell'ambito dell'allestimento della nostra collezione tale elemento può essere determinante, ancor più per quella di introduzione, così come di epilogo, narrativa, ove la storicizzazione può essere difficile e dove la semplice didascalia tecnica e tematica rischia di non catalizzare a sufficienza l'attenzione di chi guarda.
Accanto all'annullo di Posta Militare n° 13 anche il bollo di censura del 6° Reggimento Alpini - Battaglione Val d'Adige. La missiva è spedita il 7 del mese, dalle trincee montane del fronte. A fine mese il battaglione varca l'Isonzo e si attesta nel vallone di Ovsje. Il 22 ottobre si trasferisce sulla destra dell'Isonzo, a Dugo. Due giorni dopo si trova sotto il micidiale bombardamento dell'artiglieria austro-tedesca iniziato nella notte. La battaglia si accende violenta, ma gli alpini, ridotti ormai a 170 fucili, sono costretti a ripiegare, con il nemico già alle spalle che taglia alle truppe italiane la fuga: 12 mila morti, 30 mila feriti, 300 mila prigionieri ed altrettanti militari allo sbando privi di comando e istruzioni oppure disertori. Gli alpini del Val d'Adige che passeranno il Tagliamento al ponte di Pinzano, riuscendo ad arrivare alla linea del Piave, saranno sei ufficiali e circa trenta uomini.
Soddisfatta la necessità di una introduzione
all'itinerario trasversale all'insieme collezionistico del Regno d'Italia, ora
sono i reperti dentellati a diventare protagonisti, certi che quanto
raccontato sino ad ora da semplici tracce postali ha, in qualche modo offerto a
chi osserva maggiore consapevolezza, al loro incasellamento nell'album dedicato
al Veneto invaso.
Nel 1914, in seguito all'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo, esplose la Prima Guerra Mondiale, dovuta a un complesso sistema di alleanze tra gli Stati europei, che vide schierati da una parte le potenze centrali (Austria-Ungheria, Germania, Impero ottomano e Regno di Bulgaria), dall'altra quelle occidentali (Francia, Regno Unito e Italia) e la Russia. Gli eserciti degli Imperi centrali, quello austro-ungarico e quello tedesco, riportarono numerosi successi iniziali sui due fronti principali del conflitto, quello occidentale contro Francia e Inghilterra e quello orientale contro la Russia, ma ad Occidente, quella che sarebbe dovuta essere una "guerra lampo", si trasformò ben presto in una logorante guerra di trincea; l'ingresso in Guerra dell'Italia aggravò ulteriormente la posizione austroungarica, ma la fine della minaccia russa dopo la caduta della Romania e gli sconvolgimenti prerivoluzionari consentirono a Germania e Austria-Ungheria di concentrare ingenti rinforzi sul fronte italiano e sfondare il fronte presso Caporetto, iniziando un'offensiva che avrebbe potuto essere decisiva, ma fu vanificata dalle crisi interne dell'impero che minarono l'esercito imperial-regio. Nel 1916 morì Francesco Giuseppe, a questi succedette Carlo I.
Proprio Carlo I compare sui francobolli della
posta da campo (posta militare quindi) che, nei vari territori occupati durante
il conflitto, gli austriaci provvidero a soprastampare con le valute locali di
occupazione. Carlo I d'Austria (in tedesco Karl Franz Josef Ludwig Hubert Georg
Maria von Habsburg-Lothringen-Este; "Carlo Francesco Giuseppe Ludovico
Uberto Giorgio Maria d'Asburgo-Lorena-Este"; Persenbeug, 17 agosto 1887 –
Funchal, 1º aprile 1922) sarà anche l'ultimo imperatore d'Austria, re
d'Ungheria e Boemia, e monarca della Casa d'Asburgo-Lorena e Austria-Este. Carlo
fu incoronato imperatore alla morte del prozio Francesco Giuseppe avvenuta il
21 novembre 1916. Nel 1917 avviò una serie di trattative segrete di pace
tramite Sisto di Borbone-Parma, fratello della moglie Zita; anche se il
ministro degli esteri Graf Czernin era interessato a negoziare una pace
generale, l'imperatore Carlo I, tradendo l'alleanza con la Germania, propose
una pace separata. Quando la notizia trapelò, nell'aprile del 1918, Carlo I
negò qualunque coinvolgimento, ma fu smentito dal primo ministro francese
Georges Clemenceau, che rese pubblica la lettera di richiesta di accordi
separati firmata dall'Imperatore austriaco. Descritto dai giornalisti come un
soggetto da screditare, giudicato incapace di portare avanti una guerra, fu
esiliato alla fine della guerra.
Ciò che non tutti rammentano è la grande campagna che si operò per la sua
canonizzazione che ebbe inizio nel 1949, quando si iniziarono a raccogliere
delle testimonianze della sua santità nell'arcidiocesi di Vienna. Nel 1954 fu
aperto il processo canonico e l'ex imperatore venne proclamato servo di Dio.
Nel 1972, alla apertura del suo sepolcro, il suo corpo apparve incorrotto,
fatto che spinse ulteriormente nel riconoscimento delle sue virtù cristiane. Il
3 ottobre 2004 è stato beatificato da Papa Giovanni Paolo II. Durante la
cerimonia il Pontefice sottolineò che la principale preoccupazione di Carlo era
stata quella «di seguire la vocazione del cristiano alla santità anche nella
sua azione politica», in particolare nella qualità di promulgatore
dell'assistenza sociale.
Tornando ai francobolli, la catalogazione
ufficiale del "Veneto occupato" proprio dai "soprastampati da
campo" di Carlo I avrebbe inizio, se non fosse che per un importante
antefatto di natura postale: il Carlo I nella sua emissione originale per
l'esercito occupante reclama un posto d'onore in collezione, quasi una rivalsa
da Beato.
Lo testimoniano due lettere che ho collocato in album, con tanto di didascalica
motivazione. Dalla disfatta di Caporetto le comunicazioni postali fra Italia e
la parte orientale del Veneto furono completamente interrotte. Nei territori
occupati il servizio postale per i residenti, solo in ambito locale o per
l'Austria-Ungheria ed i paesi suoi alleati sarà riattivato il 23 aprile 1918
utilizzando gli Etappenpostamt, gli uffici militari di tappa austriaci,
da quel momento aperti anche ai civili. Tali uffici si collocano non in
prossimità della linea del fronte ed impiegano francobolli di Posta militare
austriaca. Il bollo tondo datario riporta la località in cui operano: Udine,
Agordo, Ampezzo, Auronzo, Casarza della Delizia, Cividale, Codroipo, Gemona,
Latisana, Longarone, Maniago, Moggio, Palmanova, Pieve di Cadore, Portogruaro,
San Giorgio di Nogara, San Pietro al Natisone, San Vito, Spilimbergo, Tarcento
e Tolmezzo.
Per questo ho ritenuto fosse importante inserire in collezione l'insieme dei valori austriaci non soprastampati impiegati nella prima fase dell'occupazione del Veneto e del Friuli, seguita alla disfatta di Caporetto, impiegati negli uffici di posta militare aperti all'utenza civile.
Va detto che è un periodo difficile per tutti, persino per gli occupanti che arrivano sino al Piave e che cercano di far fronte alle necessità impellenti, incluse quelle dei familiari in patria. Dagli uffici postali parte molto di quello che, nella fase di occupazione è tolto agli italiani rimasti oltre la linea del fronte. Si tratta per lo più di derrate alimentari. Non va meglio nemmeno quando, nel maggio del 1918, gli occupanti emettono le Lire venete al cambio forzoso di 95 corone per 100 lire italiane, stratagemma per rastrellare valuta italiana circolante ad un cambio vantaggioso.
A seguito dell'introduzione forzosa delle Lire venete nei territori occupati, ufficialmente a partire da giugno 1918, i francobolli austriaci in uso negli uffici di posta militare furono progressivamente sostituiti da nuovi tipi approntati a Vienna e recanti in soprastampa la valuta di occupazione. Ed è a questo punto che entrano in gioco le diverse serie normalmente poste in catalogo, inclusi i due espressi raffiguranti Mercurio stampati su carta giallastra e poi ristampati su carta bianca.
L’indiscusso protagonista degli accadimenti che portarono
alla vittoria fu Armando Diaz. L’8 novembre 1917 fu chiamato a sostituire Luigi
Cadorna nella carica di capo di Stato Maggiore dell'esercito italiano.
Recuperato quello che rimaneva del Regio Esercito italiano dopo la disfatta di
Caporetto, organizzò la resistenza sul fiume Piave e sul Monte Grappa. Guidò le
truppe italiane alla vittoria, nelle sue battaglie più importanti; la prima
battaglia del Piave, la battaglia del Solstizio e la battaglia finale di
Vittorio Veneto. Il tutto nonostante potesse schierare solo trentatré divisioni
intatte, circa metà di quelle disponibili a Cadorna prima di Caporetto. Per
rimpinguare i ranghi ricorse alla mobilitazione dei diciottenni della classe
1899 (i cosiddetti "Ragazzi del '99") e dedicò molta cura nel
migliorare il trattamento dei soldati: la giustizia militare restò severa, ma
furono abbandonate le pratiche più rigide. Vi furono grandi miglioramenti nel
vitto e nell'allestimento delle postazioni, furono introdotti turni più brevi,
fu migliorata la paga e le licenze furono aumentate.
Diaz scatenò la grande offensiva nel tardo autunno del 1918, attaccando
un’Austria, ormai spossata dallo sforzo compiuto. Sugli altipiani, ed in
particolar modo sul Grappa, la IV Armata attaccò con molto vigore allo scopo di
impegnare le forze avversarie e le riserve nemiche per liberare il fronte sul
Piave. L’idea si rivelò vincente. Il sacrificio di tanti soldati sul Grappa
portò nell’ottobre del 1918 alla vittoria sul Piave. Il 28 ottobre la XII,
l’VIII e la X Armata occupavano saldamente la riva sinistra del Piave, mentre
le punte offensive si dirigevano decisamente su Vittorio Veneto. La grandiosa
battaglia poteva già dirsi praticamente decisa. Il 30 ottobre le truppe
italiane entrarono in Vittorio Veneto, spezzando definitivamente in due
tronconi l’esercito austro-ungarico e determinandone l’irreparabile collasso.
Il 3 toccò a Trento essere liberata, poi fu la volta di Udine e di Trieste. Lo
stesso giorno a Villa Giusti di Mandria, vicino a Padova, fu firmato l'armistizio
tra il Regno d'Italia e l'Impero austroungarico. Quindi si pubblicò e diramò in
tutta Italia il bollettino "della Vittoria". Il Veneto tornava
italiano.
Parrebbe chiudersi così questo capitolo di storia raccontata dalla filatelia,
ma per me non era sufficiente. Mi serviva il trait d'union
che mi aiutasse a congiungere questo itinerario con quello, altrettanto affascinante,
delle "terre redente". Per questo, ancora
una volta, ho rovistato tra i documenti postali depositati nei cassetti. E l'ho
trovato.
È il 12 febbraio 1919. Accanto all'annullo di Posta Militare n° 9 (in uso alla 57a Divisione Fanteria sino al 18 luglio 1919), anche il bollo di “verificato per censura”. La grande controffensiva italiana detta “di Vittorio Veneto” si è ormai conclusa da alcuni mesi, liberando il Veneto ed il Friuli e superando la linea di demarcazione del 1915. I militari del Regio Esercito sono ora gli occupanti. Alla spedizione di questa cartolina la 57a Divisione presidia la Carnia e la Conca di Tarvisio; il 12 giugno 1919 una Brigata sarà inviata in Carinzia (Austria), occupando la linea ferroviaria Tarvisio, Villach, Feldkirchen, Sankt Veit. La posta militare 9 funzionerà fino al 15 luglio. Con la conferenza di Parigi, apertasi il 18 gennaio 1919, sono annessi all'Italia il Trentino, l'Alto Adige fino al Brennero, la conca di Ampezzo, la conca di Tarvisio fino al villaggio di Thörl, la sella di Dobbiaco, Pontebba austriaca.
Chiudo a questo punto, anche se non esaurendone i contenuti (vorrei riaprire la parentesi con Udine ed i suoi valori di recapito), questa mia divagazione storico postal filatelica. Sempre e solo per puro divertimento. Come di consueto ribadisco che sarebbe un peccato di presunzione il solo pensare di saper tutto su quanto scritto. Resta apprezzabile ogni intervento che voglia correggere, smentire, ma soprattutto aggiungere ed impreziosire questa mia cronaca "di carta".
Bibliografia essenziale
- Alessandro Barbero, Caporetto, Laterza, 2017;
- AA.VV, Caporetto cent'anni fa la grande disfatta, http://www.aclibergamo.it, consultato il 01.07.2020;
- Alfio Caruso, Caporetto, Longanesi, 2017;
- Alberto Laggia, Caporetto cent'anni fa la grande disfatta, https://m.famigliacristiana.it consultato il 01/07/2020;
- Alessandro Barbero, Caporetto, Laterza, 2017;
- Arrigo Petacco, Marco Ferrari, Caporetto. 24 ottobre-12 novembre 1917: storia della più grande disfatta dell'esercito italiano, Mondadori Le scie, 2017;
- Franco Filanci, Il Novellario Volume 2, 1889 -1921, Unificato, 2014;
- Bruno Crevbato Selvaggi, Il veneto invaso, Il Collezionista Bolaffi, Maggio 2008.