Se siete in "Fuga dal Natale" questo divertente libro di John Grisham va letto sotto l'albero

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Avvertenza
Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come
 me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.

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⭐ ⭐ Più che discreto
⭐ ⭐ ⭐ Buono
⭐ ⭐ ⭐ ⭐ Ottimo
⭐ ⭐ ⭐ ⭐ ⭐ Eccellente

La mia valutazione su questo libro:
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Sono ben consapevole che quanto sto per dire mi attirerà contro tutti fulmini dell’Olimpo, ma non posso farne a meno: secondo me questo esilarante “Fuga dal Natale” (Mondadori, 2002, riproposto anche nel super compatto formato de “I miti”) non lo ha scritto John Grisham, o meglio, non il John Grisham che pensiamo di conoscere come il maestro indiscusso del legal thriller, a meno che l’impulso creativo che ha dato vita a questa narrazione natalizia non sia frutto di numerosi brindisi (ma davvero tanti) fatti dal celebre scrittore americano per festeggiare il successo di uno dei suoi numerosi libri. L’ho detto! Prosit!

Pubblicato con il titolo originale di “Skipping Christmas” nel 2001, il romanzo ha germinato poi in un film per la regia di Joe Roth, interpretato da Tim Allen, Jamie Lee Curtis e Dan Aykroyd, una commedia natalizia decisamente brillante in quello stile scanzonato, frenetico, rocambolesco che tanto ci ricorda la sceneggiatura di pellicole alla “Mamma ho perso l’aereo”. Non è da meno il romanzo, che scorre come un fiume in piena di risate, pregno di un sarcasmo scanzonato e pungente. Linguaggio tutt’altro che “giudiziario”, anzi più che colloquiale, quello che adotta l’autore. Talvolta con un ricorso alla struttura onomatopeica della parola, nel dare suono e voce a certe gag comiche indescrivibili con l’ausilio del Devoto Oli ultima edizione.

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In questa “Fuga dal Natale” ci sono tutta la follia, le luci, i colori ed i canti del Natale a stelle e strisce. La sfrenata competizione all’esagerazione americana che esaspera l’aspetto più pagano e consumistico di una festa che, in teoria, dovrebbe celebrare la nascita di Gesù, al quale forse, bambinello in una povera capanna, non sarebbe però dispiaciuto vedere un po’ di luci intermittenti, una stella cometa di scintille lucenti lunga dieci metri, un paio di renne gonfiabili alte due piani, con canzoncina incorporata, al posto del bue e dell’asinello e un colorato Frosty sul tetto della capanna a dare il benvenuto ai Re Magi colmi di doni, dolcetti e un bel tacchino ripieno. Ma si sa, la Palestina a quei tempi era altra cosa (non che la situazione oggi sia poi così migliorata).

C’è quindi, in primo piano, la caricaturizzazione di un Natale trasformato dal consumismo in una parodia dell’ingombrante moralismo americano, e forse non solo. C’è la narrazione esilarante della tradizionale tenzone con il vicino per l’addobbo più bello, più grande, più lucente, più tutto. Il paradosso è che la storia che Grisham ci narra ha come presupposto esattamente il contrario: una fuga dal Natale stereotipato. L’occasione per la famiglia Krank, certamente non cercata, ma comunque capitata, arriva con la decisione della figlia Blair, fresca di laurea, di partire per il Perù al seguito di una missione umanitaria e di farlo proprio nel periodo natalizio. Ed allora perché non cogliere la possibilità di risparmiarsi gli addobbi dell’albero, la cena tradizionale, le donazioni a pompieri e boy scout, le cerimonie costate qualche migliaio di dollari nel Natale precedente? Per Luther, il capo famiglia, la risposta è presto detta: utilizzare quei soldi per una crociera caraibica e chi si è visto, si è visto! Alla faccia degli elfi, di Babbo Natale, delle sue renne e dei vicini di casa. Per dare sostanza alla sua decisione dovrà convincere la moglie Nora: dieci giorni di pace, serenità, relax per rimettersi in sintonia con il mondo.

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Ma le convenzioni sociali sono come il fantasma del Natale passato e, a decisione presa, iniziano a tormentare Luther e Nora già in procinto di fare le valigie. Non festeggiare il Natale “come si deve” diventa per tutto il quartiere in cui i Krank vivono motivo di profonda delusione, quasi di sconcerto. Non è proprio concepibile, un vero scandalo. È il tradimento di convenzioni sociali ineludibili perché voltare le spalle al Natale rinunciando all’albero ed ai festeggiamenti è un conto, ma qui, in questa nostra società dell’apparire, il comportamento di Luther equivale a commettere il reato di alto tradimento. Con la sua scelta egli snobba gli amici del Natale passato; da perfetto Ebenezer Scrooge egli rifugge dalla beneficenza e dalla tradizione mettendo in imbarazzo i vicini (che in un crescendo di comicità vorranno addobbare anche la casa dei Krank) del Natale presente; mette a rischio il Natale futuro.

Va chiarito subito: questa di Grisham non è una prosa di denuncia del consumistico e materiale mondo occidentale che ha perso la fede e l’ha sostituita con il Black Friday. Semmai è il tentativo di farci riflettere, con un bel sorriso che non guasta mai, su come si è trasformato, per ognuno di noi, il rapporto con la festa più santa dell’anno. Il nostro specchio sono Luther e Nora. Ci aiutano a ricordare quante volte abbiamo invocato un mantra della serenità arrivando alla fatidica vigilia senza idee per i regali, senza ricette per il cenone, senza aver mandato gli auguri a tizio, caio e sempronio. E badate, non è banale riuscire a farlo con un libro che potremmo definirlo “di Natale” e che, ne sono convinto, debba essere letto esattamente in quei giorni per farci riscoprire il senso della serenità e del sorridere insieme alle persone che amiamo.

Luther è un osso duro. Lui a differenza del mitico personaggio di Dickens non cede, guizza, depista, risponde. Ed è forse proprio questo che diverte e che trasuda umanità, quella che perduta nel Natale rinnegato, la famiglia Krank ritroverà nel Natale riscoperto, anche quando si dovrà inesorabilmente arrendere alle liturgie della tradizione. Una comicità che cattura e che rende meno amare alcune ipocrisie che nella festa della bontà assoluta escono dolorosamente allo scoperto, specchio di chi predica bene e razzola male, riflesso di un mondo in cui egoismo e presunzione giocano a carte, ma anche quello in cui sono ancora possibili la solidarietà e la generosità verso i meno fortunati. Ed è in questo messaggio di speranza che il finale diventa zuccherino e accarezza quello stile da lieta novella familiare che tanto piace al pubblico d’oltreoceano, ma che a noi fa un po’ venire la carie ai denti. Ma è Natale signori miei! E a Natale tutto si può perdonare.