Presidenti tra i dentelli
I musei servono a incantare, ma più che altro servono a scoprire l’incanto. Non è solo una frase ad effetto. Essa condensa, meglio di qualsiasi altra affermazione, ciò che dovrebbe provare colui che apre e sfoglia un album della nostra collezione, sempre seguendo quella logica che vuole ogni nostra cartella filatelica immaginata e costruita come la sala di un percorso espositivo. Manco a dirlo, la frase non è farina del mio sacco: essa apre un interessante articolo a firma di Roberta Bonetti, pubblicato sul sito della Regione Valle d'Aosta, che affronta il tema dell'educazione da un interessante punto di vista, senza risparmiare illustri, quanto controverse citazioni. Tra queste ultime anche quella di Bruno Bettelheim che affermava che “troppo spesso i musei odierni cercano di trasmettere ai bambini un tipo di conoscenza dalla quale non nascerà alcun senso di meraviglia”. A leggerla, mi è parso quasi un dejà vu. Una storia già vista, già vissuta (vi invito a tale proposito a rincorrere il mio post dal titolo "Incontri generazionali lungo il percorso").
Secondo l'autrice dell'articolo dal titolo "Così banale, così bello", le affermazioni dello psicologo austriaco Bettelheim si rivelano in "tutta la loro provocatorietà per il sistema educativo in generale. "In un mondo dove la meraviglia sembra essere esclusivamente associata allo spettacolare, al teratologico, come accadeva nelle wunderkammern del Seicento, pare che nient’altro sia più in grado di sollecitare la capacità di stupirsi e di vivere l’esperienza della contemplazione estetica".
L'autrice
propone, nel corso della sua analisi, attraverso qualche esempio tratto da
percorsi espositivi a carattere interculturale, alcune interessanti modalità di
come un buon uso dell’esperienza estetica possa scaturire dall'incontro con la
normale “quotidianità” e come, attraverso questa, sia possibile vivere un senso
del “bello” alternativo all'estetica imperante proposta dai mass media della
nostra epoca, quella stessa epoca che tutti noi viviamo, l'era moderna che ha
relegato il francobollo ad una zona grigia, una mezza via tra il reperto
antiquario di superate forme di comunicazione e quello di un collezionismo
attempato, ove il senso estetico, talvolta profondamente innovativo data la
dimensione dell'opera, fatica ancora a stimolare i sensi delle nuove
generazioni, abituate ad iperstimoli ben diversi.

La cartografia nel percorso espositivo diviene così pretesto per riflettere sulle nuove geografie del quotidiano, in un percorso antropologico che attraversa esperienze di confine, di identità, di globalità, dall'abitare al vestire, all'uso delle cose. La carta geografica, si sa, non è il territorio, ma una sua rappresentazione o al massimo una sua percezione. Così come un francobollo o un insieme postale non incarnano la storia nel suo insieme, ma possono diventarne rappresentazione, percezione, scansione degli eventi. Così come la carta geografica fornisce solo un’immagine incompleta e parziale della realtà, il francobollo è un singolo tassello di un insieme più grande capace di innumerevoli connessioni.
Anche nella nostra collezione, vissuta come una grande mostra, è dunque possibile mettere in scena immagini e oggetti della contemporaneità e fare esperienza in modo ludico con i "visitatori" piccoli e grandi di come questa rappresentazione dentellata ci offra nuove modalità con cui la realtà di oggi si connetta alla storia già vissuta. Il percorso va dunque sempre letto come un itinerario di scoperta.

La sezione di approfondimento legata ai viaggi presidenziali della "prima repubblica" è stata ricollocata nella "collezione del tricolore", ovvero gli album che raccolgono gli obliterati della Repubblica Italiana. Aggiornamento del 3 gennaio 2108.
Al disegnatore fu dato però un atlante degli anni '30 che non teneva conto delle recenti conquiste militari del Perù, in modo particolare dei fatti avvenuti tra il 5 luglio 1941 e il 31 luglio 1942. In quei dodici mesi Perù ed Ecuador combatterono una guerra sanguinosa per il controllo di un territorio nel bacino del Rio delle Amazzoni. Il conflitto si concluse con la vittoria del Perù, che poté così annettere la vasta regione. Ma il disegnatore, guardando le vecchie mappe, non lo sapeva e così il Gronchi Rosa andò in stampa con i vecchi confini, suscitando le vibranti proteste diplomatiche del governo peruviano. La distribuzione fu immediatamente sospesa, ma ormai erano già stati venduti parecchi esemplari. Si tentò di correre ai ripari, disponendo l'immediato ritiro di tutti i francobolli nelle tabaccherie e negli uffici postali. Ma non fu sufficiente, molti erano già sulle buste. Si provvide pertanto a bloccarli negli uffici di smistamento, dove solerti dipendenti furono incaricati di coprire i francobolli rosa sbagliati con una versione grigia, corretta.
Alcuni esemplari sfuggirono però alla grandiosa operazione, diventando così uno dei pezzi più ambiti dai collezionisti. Proprio da questa emissione di tre valori nacque il caso del Gronchi Rosa, cui il mio quarto album tra le altre cose dedica un doveroso approfondimento (con tanto di esemplari).


- AA.VV, Politica e francobolli, 15/11/2014, Vaccari News (ultima consultazione 30/10/2019)
- Roberta Bonetti, Così banale, così bello, L'école valdotaine, n°70, aprile 2006
- Franco Filanci, Dizionario di storia postale, Cronaca Filatelica Speciale n°2, settembre ottobre 1997
- Danilo Bogoni, Franco Filanci, Europa 50 una storia dentellata, 2007, Poste Italiane.