Mezzanotte e cinque a Bhopal di Dominique Lapierre e Javier Moro.

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Avvertenza
Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.


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La mia valutazione su questo libro:
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Trasformare un drammatico fatto di cronaca in una lettura di presa, ma soprattutto in un racconto capace di suscitare indignazione, non è cosa da poco. Ci riesce bene Dominique Lapierre, giornalista e scrittore francese scomparso a dicembre del 2022, accompagnato in questa impresa da Javier Moro, figlio di Bernadette Lapierre, sorella proprio del primo autore.

Scorre come un film il libro, dove i fotogrammi si rincorrono e via via penetrano i fatti con lacerante lucidità, soffermandosi sulla quotidianità sconvolta della povera gente, dei lavoratori, delle famiglie, di un’intera comunità. Mettendo in luce temi quali lo sfruttamento dei Paesi più poveri da parte delle grandi multinazionali, l’ingiustizia sociale concimata dalle logiche del profitto, quel senso di impotenza davanti all’incapacità o la non volontà di riconoscere una colpa. E che colpa!

Trattandosi di fatti di cronaca, tra l’altro ampiamente documentati, citare ciò di cui parla questo libro mi assolve dal commettere il peccato di spoiler. Va detto anche che il racconto esplora aspetti emotivi che si colgono difficilmente nella pura esposizione dei fatti raccontati.
Nella notte fra il 2 ed il 3 dicembre del 1984, a Bhopal, in India, si verificò uno dei più grandi disastri nella storia dell’industria chimica. Da uno stabilimento della Union Carbide, multinazionale chimica statunitense, produttrice di fitofarmaci, fuoriescono quaranta tonnellate di un gas letale, responsabili di una vera strage tra gli abitanti della cittadina dell’India settentrionale, capitale dello Stato del Madhya Pradesh.

E l’epilogo di una serie di scelte sbagliate per cercare, già negli anni precedenti, di sfruttare la manodopera a basso costo della regione e dare vita ad un polo chimico che massimizzasse i profitti. Fu però un fallimento economico, complice la situazione indiana ed alcune scelte strategiche dell’azienda americana. Lo stabilimento chiuse i battenti nel 1980, ma la società si “dimenticò” di mettere in valigia alla sua partenza qualcosa come 60 tonnellate di metil-isocianato, abbandonate all’incuria. L’isocianato di metile puzza di cavolo cotto, ma è un killer silenzioso. Si muove furtivo tra le logore tubature dell’ex impianto e aspetta il momento giusto. La notte del 2 dicembre 1984 quel momento arriva: un guasto provoca uno sversamento d’acqua nelle cisterne. Acqua. All’isocianato serviva proprio quella per evadere. La reazione innesta un’esplosione e la mattina seguente la reazione che si innesca genera una nube tossica.

La Bhopal più povera, quella degli slum, ne è colpita appieno: senso di soffocamento, bruciore agli occhi. Molti muoiono per le strade, mentre gli ospedali si saturano ed i medici inermi sono privi di alcuna informazione poiché la Union Carbide non offre alcuna informazione sulla natura dell’agente chimico. In settemila muoiono nel giro di qualche giorno, altri 15 mila se ne vanno lentamente, ma ad anni di distanza si stimano tra le 16 mila e le 30 mila vittime per la contaminazione del territorio circostante. Sono 800 mila le persone colpite direttamente o indirettamente dal disastro e l’acqua è ancora contaminata. Gli effetti si possono ritrovare ancora oggi nei ritardi di crescita e sviluppo dei figli di genitori esposti alla nube.

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In questo racconto la scrittura di Dominique Lapierre e Javier Moro va ben oltre quanto, sentendo del disastro, potremmo immaginare. Ci riporta anche a ciò che accadde in Italia il 10 luglio del 1976 quando nell'azienda ICMESA di Meda, avvenne la fuoriuscita e la dispersione di una nube di diossina TCDD, una sostanza artificiale fra le più tossiche. Il veleno investì una vasta area di terreni dei comuni limitrofi della bassa Brianza, particolarmente quello di Seveso.

Ciò che ne esce lacerato, letteralmente fatto a pezzi, è l’idea di lecita giustizia che ci aspetteremmo nel dopo disastro. Warren Anderson, al tempo dei fatti direttore della Union Carbide, non è mai stato processato, basti pensare che le autorità indiane hanno atteso qualcosa come otto anni per spiccare un mandato di arresto nei suoi confronti ed un ventennio per la relativa richiesta d’estradizione. Nel 1989 la Union Carbide ha negoziato un rimborso di appena 470 milioni di dollari col governo indiano, senza nemmeno prendere contatto con le associazioni delle vittime, ai cui superstiti sono giunte cifre ridicole e sovente nemmeno un centesimo.

Mezzanotte e cinque a Bhopal è dunque più di un saggio, di una cronaca giornalistica. E’ più di un racconto. E’ una denuncia senza ma e senza perché. Qualcosa che dovrebbe farci aprire gli occhi sulle nostre comode distrazioni, pena l’impietosa cecità di Saramago.

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