Lettera a una professoressa di don Lorenzo Milani. Il senso di un manifesto sulla scuola

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Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come
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La mia valutazione su questo libro:
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Scrivo questo invito alla lettura all’indomani dei cento anni dalla nascita di don Lorenzo Milani che vide la luce a Firenze il 27 maggio 1923 in una colta famiglia borghese. Nel novembre del 1943 entrò nel Seminario Maggiore di Firenze e fu ordinato prete il 13 luglio 1947. A San Donato di Calenzano, nel fiorentino, fondò una scuola popolare serale per i giovani operai e contadini della sua parrocchia, anticipando già una sua chiara posizione che lo porterà sovente a contrapporsi alla gerarchia ecclesiastica, che mal vedeva quel suo schierarsi con alcune classi sociali non considerate in odore di santità. Nel 1958, ad esempio, il suo scritto “Esperienze pastorali” fu ritirato dal commercio per disposizione del Sant’Uffizio, perché considerato una lettura “inopportuna”.

Nominato priore di Barbiana nel 1954, una piccola parrocchia di montagna, iniziò a radunare i giovani della nuova comunità in canonica con una “scuola popolare” simile a quella di San Donato. Durante le ore pomeridiane egli creò anche un doposcuola per i ragazzi delle elementari statali. Un paio di anni dopo rinunciò alla scuola serale e organizzò, per i primi sei ragazzi che avevano finito le elementari, una scuola di avviamento industriale.

A Barbiana ha inizio il vero miracolo operato da don Milani, la sua scuola. “La vera cultura non è solo possedere la parola, esser messi in condizione di potersi esprimere, di poter mettere a disposizione di tutti quello che noi abbiamo ricevuto: è anche appartenere alla massa ed essere consapevoli di questa appartenenza. E appartenenza significa anche farsi carico di tutti”, scrive don Lorenzo che esterna il suo pensiero illuminato affermando anche che “la cultura è una cosa meravigliosa come il mangiare ma chi mangia da solo è una bestia, bisogna mangiare insieme alle persone che amiamo e così bisogna coltivarsi insieme alle persone che amiamo”. Un manifesto chiaro, schierato in difesa di una scuola per tutti, mai struttura di una una cultura elitaria: in quel di Barbiana tutti vanno a scuola e tutti fanno scuola offrendo il modello di un’educazione partecipata a tutti e partecipata da tutti. Un pensiero che renderà don Milani un prete sopra le righe, quasi un eretico in vita, oscurato dalla Chiesa stessa, recuperato poi come un illuminato vari anni dopo la sua scomparsa.

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Questo saggio, curato da Michele Gesualdi e dalla Fondazione don Lorenzo Milani, edito nel 2017 dalla Libreria Editrice Fiorentina, preparato per il cinquantenario della celebre “Lettera ad una professoressa”, offre, oltre all’edizione completa della lettera, integrata con una serie di dati molto interessanti circa l’educazione scolastica nel nostro Paese, una serie di interventi che esplorano il testo della lettera, ma soprattutto il ruolo di don Milani e della sua scuola, quale laboratorio di una scuola universale.

Nel luglio 1966, insieme ai ragazzi della scuola di Barbiana, iniziò la stesura della celebre “Lettera a una professoressa”. Non certamente la prima: già nel febbraio del 1965 ne scrisse una “aperta” ad un gruppo di cappellani militari toscani, che in un loro comunicato avevano definito l’obiezione di coscienza “estranea al Comandamento cristiano dell’amore e espressione di viltà”. La lettera, chiaramente, fu incriminata e don Lorenzo rinviato a giudizio per apologia di reato. Quella alla professoressa è, senza alcun dubbio, un’aperta polemica all’istruzione italiana di quel tempo che favoriva la scolarizzazione e l’istruzione di chi proveniva da classi sociali agiate, rifiutando totalmente di aiutare quelli che avevano maggiori difficoltà economiche, anzi favorendo per questi ultimi un preferibile abbandono. Una penalizzazione sociale, inconcepibile per il pensiero rivoluzionario di Milani (anticipatore di molto ciò che produsse la contestazione del ‘68), provocata dalla demoralizzazione personale oppure dal fatto che la necessità a frequentare molti ripetizioni rendeva a questi studenti economicamente improponibile lo studio, invitandoli ad abbracciare lo stesso mestiere del padre, senza aver avuto quindi la vera opportunità di migliorare la propria vita.

Ciò che forse fece rompere gli indugi a don Milani nel prendere una aperta e pubblica posizione a favore di un’educazione paritaria e universale, fu un episodio, ben descritto in questo saggio dall’introduzione di Sandra Gesualdi. Due ragazzi di Barbiana volevano dedicarsi all’insegnamento e per questo, dopo la scuola elementare, svolsero a Barbiana il programma del primo anno di magistrali e scelsero Firenze per sostenere l’esame come privatisti. Furono entrambi respinti in modo umiliante. In 10 anni di vita della scuola mai era stata inflitta tale umiliazione, ogni anno chi da Barbiana sosteneva gli esami da privatista per le medie li superava brillantemente e alcuni di quei ragazzi erano stati preparati proprio dai due respinti. Evidente che si trattava di un processo al priore e a quella rivoluzionaria e sovversiva idea della scuola per e con tutti.

Il libro è arricchito, per meglio comprendere cosa abbia significato (e cosa ancor oggi rende attuale ciò che don Milani ebbe a scrivere), ma soprattutto che impatto ebbe la lettera nella società dell’epoca, da numerosi articoli comparsi sulla stampa nazionale, saggi nel saggio, articolate riflessioni di una parte e dell’altra, tutt’altro che banali trafiletti. Seguono lettere di genitori e di altri sacerdoti recapitate alla scuola di Barbiana dopo la pubblicazione. Interessantissima nel volume, anche una riattualizzazione del pensiero fatta un quarto di secolo dopo, attraverso articoli di stampa a commentare il dibattito che si accese quando Sebastiano Vassali ripropose, sulle colonne di La Repubblica, una visione polemica dell’esperienza di Barbiana.

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Si aggiungono le testimonianze di Mario Capanna, Giandomenico Magalotti, Innocente Pessina e Giannozzo Pucci, studenti di don Lorenzo al momento in cui fu scritta la lettera e successivamente impegnati nell’insegnamento, oltre a interventi di altri protagonisti, a vario e diverso titolo, dell’istruzione italiana.

A conclusione di questo mio invito alla lettura mi piace citare quando ha scritto Giannozzo Pucci, una delle figure più rilevanti dell’ambientalismo italiano, che lesse la lettera nel fango dell’alluvione che devastò Firenze: “nella lettera, sotto e intorno alla parola “classe” aleggiava un senso di popolo con una cultura “altra”, non solo composto di subalterni del capitale industriale in costante attaccamento e rivendicazione, ma anche di contadini, donne, vecchi, bambini, competenti di boschi e campagne, come i laureati non potranno mai essere. Si sentiva una lingua e dei contenuti dove gli uomini, la terra e le mani pesavano. (...) Il concetto di classe usato da don Milani conteneva il bisogno di un’alternativa ampia, morale e materiale, alla società dei consumi che ci stava assediando".

Nel dicembre del 1960, don Lorenzo Milani, fu colpito dai primi sintomi del male che sette anni dopo lo portò alla morte, a Firenze il 26 giugno 1967. Aveva 44 anni.