L’Egitto dei Faraoni. Storia, civiltà, cultura. Un saggio di quelli "sempre verdi" da veri archeo bibliofili

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Avvertenza
Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come
 me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.

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La mia valutazione su questo libro:
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La prima volta che mi recai in Egitto avevo vent’anni e trovai un Paese assai diverso da quello che in quest’epoca di turismo “mordi e fuggi” si può vedere. Da quel primo viaggio, di cui ricordo ancora l’oasi del El Fayoum a dorso di cammello piuttosto che il rientro in treno di seconda classe da Luxor al Cairo o il classico tè del pomeriggio con gli inglesi ad Assuan, sono ormai trascorsi più di quarant’anni. In questo lasso di tempo sono tornato nel mondo dei Faraoni circa una decina di volte e ogni volta qualcosa è cambiato, ma il fascino di quella terra ricca di storia antica resta immutato, cristallizzato nella sua grandezza ed unicità, anzi continua a regalarci nuove sorprese, nuovi ritrovamenti, nuove storie. Parlo chiaramente di quello scrigno archeologico, unico al mondo insieme alla Grecia, con le sue vestigia della civiltà ellenica, a poterci fare concorrenza.

Questo mio preambolo è tanto più necessario, quanto mi è difficile invitare alla lettura di un saggio di tale portata. Parlo di un libro che, sin da quel primo viaggio in Egitto, mi ha accompagnato ad ogni ritorno e mi ha sempre aiutato a ricordare, a ritrovare una data, il nome di un Faraone, lo stile architettonico di un tempio o la sua mappa, un’iscrizione in geroglifico, una statua, la strada per muoversi in un labirinto di avvenimenti che si sono susseguiti per oltre tremila anni. Parlo de “L’Egitto dei Faraoni. Storia, civiltà, cultura” di Federico A. Arborio Mella. Un libro pubblicato da Mursia nel 1976 e che è entrato a pieno titolo in tutte le bibliografie più importanti legate a studi o pubblicazioni sul mondo antico e, cosa ancora più rilevante, ristampato più e più volte sino ai giorni nostri. E questo vorrà significare ben qualcosa!

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Classe 1920, Federico Arborio Mella, figlio del conte Edoardo, fu un architetto e restauratore. Laureato in giurisprudenza, già Regio Ispettore per i Monumenti e gli Scavi di Antichità, dal 1901 è stato direttore dell’Istituto di Belle Arti di Vercelli. A lui si devono numerosi volumi di storia e di archeologia il cui lustro è sopravvissuto sino ai giorni nostri. Credo quindi che per poter incuriosire chi mi legge e spingerlo a mettersi alla ricerca di questo libro, le parole migliori siano quelle che l’autore spende a prefazione di questo suo lavoro che conta quasi cinquecento pagine. Tante certo, ma che possono tranquillamente essere lette come un grande straordinario romanzo che vede l’Umanità come protagonista.

Arborio Mella (che virgoletto nelle sue parole) quasi si identifica con quel viaggiatore “che, forte di una solida cultura classica, s’è sempre trovato a proprio agio durante le vacanze nel Mediterraneo”, ma che appena sbarcato in Egitto “avrà la sensazione, peraltro fondata, che neIle sue cognizioni vi sia qualche lacuna. Visitando poi le prime rovine avrà subito la certezza che, sull'antico Egitto, non sa assolutamente nulla. Non è una lacuna da poco, sono piú di tremila anni di storia, e gli unici appigli a cui aggrapparsi sono sfilacciatissimi: Cleopatra, Tutankhamon, Mosè, Giuseppe, i Tolomei, la cultura alessandrina; poi Cheope, Chefren e Micerino; il nome di qualche altro faraone e, naturalmente, l'«Aida »”.

Così si presenta l’autore al suo lettore ed oggi, a distanza di tanti anni da quel mio primo viaggio, mi sento di ritrovarmi appieno nelle sue parole, sottolineando che una sbirciatina a "L’Egitto dei Faraoni" già l’avevo data prima di partire e dubito, me ne perdonino coloro, che molti dei turisti odierni diretti alle spiagge di Sharm el-Sheikh e di Marsa Alam oggi conoscano Chefren, Micerino e i Tolomei. Ma il saggista archeologo allora non aveva contezza della metamorfosi che ha generato il turismo di massa e continua la sua introduzione ipotizzando che quel viaggiatore “volonteroso ascolterà le descrizioni delle «guide autorizzate, sempre fantasiose, spesso inventate. Prenderà qualche appunto, riservandosi di approfondire al ritorno. I nomi che trascriverà sul taccuino saranno senza dubbio quelli di Thutmose III (« il Napoleone d'Egitto »), di Ramsete II («il re Sole»), di Amenofi IV («il re eretico») e della regina Hatscepsut. Frattanto gli stupendi monumenti gli appariranno come muti fantasmi, costruiti apparentemente in epoche indistinguibili, da faraoni megalomani dal nome spesso impronunciabile. Sempre piú perplesso rinuncerà per il momento alla Cultura, volgendo l'attenzione soprattutto allo splendido paesaggio. Rientrato a casa, cercherà lumi sulla «Treccani»: su Thutmose III troverà esattamente quattro righe, sei su Ramsete. Meglio soddisfatta sarà la sua curiosità nei riguardi di Amenofi IV; per la regina Hatscepsut dovrà leggersi la voce Egitto (faraonico). Deciso a volerne sapere di piú, chiederà una storia d'Egitto al suo libraio, il quale invece gli proporrà una serie di opere settoriali sull’arte, la letteratura, le piramidi, la civiltà, nonché «Storie universali » in venti volumi.”

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Chiaro è che il nostro autore, nello scrivere la sua prefazione, ancora non poteva immaginare che Internet ci avrebbe cambiato la vita e nemmeno lontanamente pensare che in quel mare magnum di informazioni che è il web ci si deve sbracciare molto per non annegare nella superficialità, nel copia incolla e ancor più nelle fake news, con date storiche in cui talvolta il refuso si replica all’infinito e si trasforma in datazione storica. Non poteva nemmeno ipotizzare che Thutmose III sarebbe stato ingaggiato dalla letteratura di fiction o che il caro vecchio Tutankhamon sarebbe oggi in grado di campare con i diritti d’autore che i libri a lui dedicati potrebbero fruttargli.

Ma a noi serve però qualcosa in grado di darci un’immagine accurata e leggibile, una panoramica a volo d’uccello dell’antico mondo egiziano, quanto per evitare ciò che l’autore già presagiva circa il rinunciare a proseguire le ricerche e in base a ciò che si è visto e sentito in viaggio formarsi una opinione personale i cui cardini sono pressappoco questi:

  • gli antichi Egizi, in arte, per tremila anni hanno fatto sempre le stesse cose;

  • non pensavano che agli dei e alla morte, dato che li non ci sono che templi e tombe

  • per costruire tali mastodontici monumenti dovevano certo servirsi di eserciti di schiavi

  • la loro civiltà era a sé stante, senza contatti col resto del mondo antico, dato che i riferimenti ad essa, citati nei classici e nella Bibbia, sono scarsi e insignificanti.

Per ciò che scrive Mella parrebbe avere egli una scarsa considerazione del viaggiatore in terra d’Egitto, un po’ come forse io faccio con chi vi approda pensando che vista una colonna le hai viste tutte. Vi voglio però rassicurare, al pari di me che da sempre mi considero un “ignorante curioso”, anche Federico Arborio Mella ammette che non è di altri che egli parla ma di se stesso di: “quel viaggiatore, inutile nasconderlo, sono io. E non trovando da nessuna parte il libro che desideravo leggere, me lo sono scritto da me”.


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E’ un bel saggio. Non sarei disposto a rinunciare ad averlo in libreria. Ha certamente i suoi limiti in qualche anacronismo o lacuna, comprensibili per il fatto che storia e archeologia, che raccontano e ipotizzano il passato, sono scienze vive, che evolvono e si arricchiscono di scoperte e tecnologie. Ma resta un saggio fondamentale per conoscere l’Antico Egitto e la sua storia millenaria. 

Se vi spaventa l’idea di annoiarvi nel leggerlo, vi sia d’incoraggiamento il fatto che chi lo ha scritto ha rivolto un particolare pensiero alla propria moglie “che scrupolosamente ha riletto il tutto, protestando energicamente ogni volta che s'annoiava. Ho subito riscritto le pagine incriminate”.