La vita bugiarda degli adulti nella Napoli di Elena Ferrante

librijpg
Avvertenza

Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.


⭐ Sufficiente
⭐ ⭐ Più che discreto
⭐ ⭐ ⭐ Buono
⭐ ⭐ ⭐ ⭐ Ottimo
⭐ ⭐ ⭐ ⭐ ⭐ Eccellente

La mia valutazione su questo libro:

3 stellajpg

C’è una Napoli che si percepisce appena, a far da sfondo a questo romanzo di Elena Ferrante. Non è una scenografia con le tinte forti dell’acrilico cui l’autrice ci aveva abituato in altri suoi lavori, assomiglia più ad un acquerello in cui il quartiere “alto” del Vomero plana, senza mai veramente posarsi, su quella napoletanità più dialettale, diretta, talvolta gretta, sempre impegnata a campa' a groliapate. C’è pathos nella scrittura, ma pare un tratto di penna diluito che forse accusa un poco il colpo e la pressione della tetralogia de “L’amica geniale”, successo planetario in libreria (12 milioni di copie vendute e traduzione in 50 nazioni) ed in televisione con la serie che ne è derivata.

“La vita bugiarda degli adulti” ha la voce e il pensiero di un ragazza adolescente che pare proprio tale anche nella scrittura di un’autrice che resta, per tutti noi, un fantasma, non essendo mai stato rivelato chi veramente si cela dietro lo pseudonimo di chi scrive. E questo saper entrare nel personaggio non è comunque cosa da poco. Accanto alla crisi adolescenziale c’è il dramma familiare di una separazione, del tradimento. Parallelamente all’emersione del proprio io di giovane donna in piena esplosione ormonale e di quella necessità generazionale di prendere le distanze dagli adulti, ci sono le bugie di questi ultimi, c’è il gioco di una dialettica della menzogna cui banalmente ci siamo abituati. E tutto ciò pesa, eccome se pesa. C’è persino una sorta di maledizione familiare che il padre della protagonista si porta appresso come un macigno, che collega quella Napoli borghese, ma di sinistra, colta ma bugiarda, intellettuale, ma serva del proprio protagonismo, alla Napoli dei quartieri bassi dove qualcuno tenta il riscatto dall’ignoranza aggrappandosi ad uno status sociale non suo, dove altri fuggono ed altri ancora più semplicemente si adattano, imparano a trovare un punto di equilibrio.

Per Giovanna, figlia unica dodicenne di buona famiglia, studentessa modello, genitori entrambi professori ed una bella casa tappezzata di libri, il mondo subisce una frattura quando, da una porta lasciata aperta, capta una frase del padre, sino a quel momento modello indiscusso cui ispirarsi. Ma non sarà tanto scoprire di “essere brutta” che cambierà tutta la sua vita (siamo però lontani anni luce da “La vita accanto” della Veladiano), sarà di apprendere da quella frase buttata nell’aria di esserlo brutta come Vittoria, la zia che nemmeno sapeva di avere, la sorella del padre, l’oscuro segreto, l’innominabile.

Foto interne post 7jpg

Giovanna a quel punto si trova a cavallo tra due esistenze, quella della bambina non più giocosa, coccolata ed inconsapevole e quella della donna, non ancora tale, ma fragile anima in metamorfosi. Vittoria, questa zia dipinta come gretta, volgare, cattiva e falsa, soprattutto terribilmente bugiarda, è il vaso di pandora che Giovanna scoperchia e dal quale, così come nella mitologia greca, tutti i mali fuoriescono e si riversano nel mondo. Quel suo mondo di adolescente in cui si fatica a contenere l’emozione, si fatica a contenere bene e male, a dividere amore e odio e in cui la protagonista ora nuota tra la vita bugiarda degli adulti che la circondano.

Come in ogni saga mitologica e familiare c'è persino l'oggetto magico, un braccialetto, che passa di polso in polso e sconvolge gli equilibri di chi lo indossa e, in fondo, nella sua circonferenza delimita il recinto relazionale del romanzo alla dimensione familiare, con qualche eccezione per gli amici altolocati e  altrettanto ipocriti dei genitori e per la selva di adolescenti in piena tempesta ormonale che frequenta la protagonista. 

Ora, dopo l’incontro con la zia “brutta e cattiva”, Giovanna è in bilico tra due mondi, tra due Napoli. Quello borghese, colto, in cui le bugie sono fraseggi edulcorati da un italiano perfetto, dietro cui si nascondono miserie, tradimenti un po' scontati, compassioni e amori dei genitori, e quello di un mondo partenopeo plebeo, in cui si dibatte la zia serva ed ignorante, sboccato e volgare, dove la menzogna è diretta, pungente, ma aiuta a sopravvivere. Quella dimensione da cui il padre della protagonista si è affrancato grazie alla cultura, ma cui resta legato, suo malgrado, da un cordone ombelicale familiare inscindibile. 

“Lo spazio dentro cui risiedevano i parenti di mio padre era indefinito, senza nome. Avevo un’unica certezza: per andare da loro bisognava calare giù, più giù, sempre più giù, nel fondo del fondo di Napoli”.

Foto interne post 9jpg
Dal libro è stata tratta una serie TV andata in onda su Netflix


In queste sfere sociali in cui tutti mentono, in cui ognuno racconta una propria verità, in questi mondi contrapposti che però si trovano uniti nel camuffare la realtà, Giovanna impara a sopravvivere. Anzi, impara a mentire, quasi che il farlo sia il modo migliore per proteggersi dalle bugie degli adulti, sia la medicina per lenire il dolore che la affligge, per invocare un mondo migliore di quello che ha appena visto andare in frantumi, ricercare una bellezza perduta insieme alle certezze dell’infanzia, per sperare in un amore che la tocchi dentro, per esorcizzare un sessualità tanto desiderata, quanto ignota. Insomma trova una strada, che non può essere che la sua, per diventare grande. La bugia è un peccato, ma fisiologicamente connesso all’animo umano e, un po’ come anche Chiara Gamberale ci fa notare nel suo “I fratelli mezzaluna”, l’infanzia finisce quando chi cresce vede i propri genitori come persone. E le persone, si sa, mentono.

A contraltare a chi lo ha definito un romanzo adolescenziale un po’ troppo scontato se raffrontato ad altri lavori dell’autrice, ho apprezzato nella scrittura la capacità di mettere a nudo i personaggi, tanto che si crea quasi un’inversione di empatia e si finisce per compatire i genitori di Giovanna, il cui ritratto della famiglia perfetta è spazzato via da un’adultera passione giovanile, e provare simpatia per quella zia volgare e contaminante che domina, nel libro, un panorama di donne ingannate, abbandonate, fragili per molti aspetti.

C’è, in questo “La vita bugiarda degli adulti”, anche un passaggio di testimone generazionale, la fine del ventennio Settanta/Ottanta (Giovanna è nata il 3 giugno del 1979), un periodo che Elena Ferrante, da perfetta archeologa, ci fa riscoprire rovistando nei ricordi dei personaggi che popolano il libro, frugando nell’intimo familiare, tra le vecchie fotografie in bianco e nero conservate con cura. L’inizio e la fine di un viaggio, un treno diretto ad un’età nuova della propria vita. Senza mai perdere la speranza.

“Il giorno seguente partii per Venezia insieme a Ida. In treno ci ripromettemmo di diventare adulte come a nessuna era mai successo”.