La Russia post sovietica in "Morte in cambio", indagine di Anastasija Kamenskaja firmata Marinina

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Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come
 me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.

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La mia valutazione su questo libro:
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"Morte in cambio" (Piemme, 1998) di Aleksandra Marinina segna un cambio di passo nella caratterizzazione e nella crescita della detective della polizia di Mosca Anastasija Pavlovna Kamenskaja. Proietta la protagonista, grazie ad un giallo dalle sfumature decisamente più noir rispetto all’esordio de “Il padrone della città”, ad un ruolo di primo piano nella risoluzione di un omicidio apparentemente inspiegabile e decisamente articolato, anche nell’incrocio dei diversi piani narrativi in cui si dipana la vicenda.

Aleksandra Marinina, al secolo Marina Anatol'evna Alekseeva (Марина Анатольевна Алексеева), già tenente colonnello di polizia ed avvocato in pensione, ambienta questo suo libro nella Mosca post sovietica, alimentando una produzione narrativa tanto cara a quella corrente amante del cosiddetto “giallo nostalgico russo”, parte di un fenomeno culturale che Andreas Huyssen, critico e professore alla Columbia University, descrive come "passato presente", ovvero l'emergere della memoria come preoccupazione culturale e politica chiave nelle società occidentali. Un cambiamento nell’esperienza e nella sensibilità del tempo che in Russia trova una sua spiegazione nella storia di un Paese, all’avanguardia nelle aspirazioni utopistiche del XX secolo, costretto a reinventarsi, dopo la deflagrazione dell’URSS, nel crogiuolo del liberismo occidentale. Una Russia in cui il ricordo del passato pesa drammaticamente sul presente, al punto che “le ricadute culturali e sociali della rivisitazione post-sovietica e della riscrittura della storia con nostalgia”, come afferma Huyssen (ampiamente citato da Elena Baraban nel suo saggio “A Little Nostalgia: The Detective Novels of Alexandra Marinina”), “ha costretto gli studiosi ad esplorare questo sentimento in opere letterarie, cinematografiche, di memorie e in altre forme di produzione culturale”.

Marinina, con i suoi gialli, entra a piedi pari in questo movimento nostalgico, pur restando all’interno di una scrittura di genere, tra l’altro particolarmente amata dai lettori avvezzi al cirillico. Le sua storia è qui tradotta in caratteri e fonemi italici da Emanuela Guercetti, cui va certamente il merito di mantenere inalterate alcune peculiarità confidenziali del russo, quali ad esempio l’uso di soprannomi e vezzeggiativi, che non sono solo parte di un costume del parlato quotidiano, ma aiutano a cogliere anche il grado di familiarità o di intimità tra i personaggi. Non pochi, tra l’altro, in questo "Morte in cambio", racconto in cui Anastasia Kamenskaya, per gli amici Nastja, è proiettata ben oltre il ruolo dell’analista investigativa da scrivania e fuori dalla sua abituale zona di confidenza, responsabile di un’indagine nell’indagine, costretta a muoversi in uno scenario poliziesco di corruzione, concussione e depistaggi, in cui nessuno può fidarsi di nessuno.

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Nastja e il suo supervisore Gordeev non possono fidarsi di nessun componente del loro dipartimento di polizia, perché uno dei colleghi è un traditore che lavora per la mafia russa. Un brodo di coltura del malaffare e di quegli intrecci tra potere e politica che ben disegnano il passaggio repentino dalla società dei Soviet allo spregiudicato avventurismo neo capitalistico. Come ebbero a scrivere nel 2002 I. Savkina, Elena Trofimova e L. Geller (citate da Elena Baraban) “Marinina legge il presente attraverso le lenti del passato riscoprendo in esso alcuni valori positivi che aiutano a sostenere i suoi eroi nella Russia di oggi”. Un’immagine che ritroviamo leggendo anche questo libro, a condizione di retrodatare il nostro tempo di lettura ed immaginarci per le strade moscovite in un’epoca in cui la malavita organizzata è in grado di reclutare agenti di polizia e di formare, nel corso degli anni, i propri quadri intermedi nelle scuole di polizia e nelle università di legge.

Ed è sorprendente quanto Anastasia Kamenskaya, nel suo abito di rappresentante della giustizia ad ogni costo, dotata di un'innata capacità analitica e riflessiva, di un’acuta intelligenza e di una inossidabile resilienza agli imprevisti, incarni però perfettamente anche l’antitetico ruolo dell’anti eroina. E’ anonima, non si trucca per essere appariscente, tende a nascondere le sue forme sotto vestiti senza forme, Solo a Lesha, fidanzato quasi marito che nel libro si mostra con una certa determinazione, rivendicando un suo ruolo nella vita della protagonista, lei si concede per quello che è. E’ lenta, ma perché ha assoluto bisogno di riflettere, di pensare, sin troppo a volte, tanto che questa sua necessità rallenta anche il ritmo dell’azione ed espone personaggio ed autore alla critica. Un poco più di velocità compenserebbe certamente una trama che pecca di una certa prevedibilità. Perfetto per chi ama polizieschi intricati, ma non troppo machiavellici.

Ma Anastasia è retta ed incorrotta, pronta a lavorare anche senza paga perché di poliziotti onesti, e a dirlo è proprio lei, ne sono rimasti davvero pochi e forse questo ci piace. Ed è il motivo che fa sì che più che l’indagine, di "Morte in cambio", mi ha affascinato l’humus culturale che determina gli eventi descritti e che nella scrittura di Marinina è quanto mai realistico, anzi cinicamente realistico nell’elaborazione di temi come la corruzione, la moralità, la vendetta. Ella ci propone un mondo criminale consapevole di ciò che rappresenta e ben radicato nella società che si è formata dopo la fine della Guerra Fredda, antitetico sia alla detective stories sovietica che motivava il crimine con psicologie amorali e afflitte da gravi difetti educativi, tanto più a quella cultura di una società socialista quale rimedio infallibile per la riabilitazione personale e civica.

Rispetto alla critica, che ho scorto da più parti, circa il ricorso ad uno stereotipo di genere in cui le donne sono sovente raffigurate come vittime e gli uomini come aggressori, non mi trovo in accordo. In primo luogo perché se facessimo ricorso alle statistiche non potremmo parlare di stereotipo, ma di numeri e fatti che confermano una triste realtà. In seconda istanza perché quella società in cui si muove Anastasia Kamenskaya è frutto di una cultura maschilista che ha nutrito per secoli certe società e in cui la nostra protagonista è costretta a muoversi alternando una tenace resistenza passiva ad un’innata capacità analitica che la pone ben oltre la media dei colleghi.

Hops! Dimenticavo di fare un po’ di spoiler: un brutale omicidio, una traccia di sangue lasciata da una mano su una parete, una donna accusata ingiustamente. Buona lettura!

Letto in ebook