La ragazza scalza di Saverio Tutino. Per scrivere un buon diario bisogna raccontare i fatti
Avvertenza
Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.
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La mia valutazione su questo libro:
Difficile commentare questo libro senza rovistare un poco nella vita dell’autore. Saverio Tutino, milanese, classe 1923, è stato, dal dopoguerra in poi un giornalista. Fa parte di quel gruppo di cronisti che, nel 1950, è invitato a visitare la Cina prodotta dalla rivoluzione del 1949; segue da vicino le vicende francesi della guerra d’Algeria e, dopo aver vissuto lo sciopero generale dei minatori del nord, avvenuto a inizio del 1963, pubblica “Gollismo e lotta operaia”. Da inviato speciale del quotidiano l’Unità a Cuba, diverrà uno dei maggiori esperti occidentali della Rivoluzione cubana e di conseguenza dei movimenti rivoluzionari dell’America latina degli anni Settanta, vale la pena ricordare il saggio “Il Che in Bolivia”.
Firma articoli per varie testate italiane e straniere come Le Monde, El Pais, La Repubblica e collabora con “Linus” in una sua rubrica dove comincia a delineare quell’ordito che unisce trame eversive dei servizi segreti e stragismo neofascista di quegli anni. Un punto cardine per lui. Perché Saverio Tutino è stato e resta il commissario politico della 76a Brigata Garibaldi nella zona di Ivrea. E’ stato e resta partigiano.
Nel sito della Libera Università dell’Autobiografia, da lui creata nel 1998 assieme a Duccio Demetrio, una sua citazione racconta di come “nei primi anni del dopoguerra un solo momento mi consolava: l’autunno. Niente che valesse il confronto con quella stagione in cui la pioggia e la notte precoce accorciano il dolore della luce diurna che rischiara i nostri compromessi, la nostra beata accettazione delle leggi! In città ero come uno sconosciuto, subito scoraggiato dagli altri. Le strade erano appena bagnate dalla pioggia, ma le suole delle mie scarpe erano fradice e molli. I guardiani dell’ordine monopolista primitivo bevevano nuvole di latte caldo nel thè bollente. A poco a poco si ritrovavano a loro agio, con i legami sufficienti per rimettere al proprio posto tutto ciò che si era mosso, non si sa mai, negli ultimi tempi.”
Un pensiero importante, anche per capire ciò che questo libro racconta. Una riflessione su come, dopo quella intensa stagione tra il 1944 e l’anno a seguire in cui si era lottato pensando all’alba di un nuovo mondo, di una società diversa, alla fine ci si rendeva conto di un riassestamento, o meglio di una restaurazione dei rapporti sociali come base della prima Repubblica.
Era convinto che per scrivere un buon diario bisogna raccontare i fatti. E quelli che lui racconta, in modo particolare ne “La ragazza scalza” sono fatti e nient’altro. Sono un diario, sono racconti di vita partigiana “tra la cronaca e la fantasia” scritti subito dopo la guerra. Lasciati com’erano, scrive Tutino, “senza aggiustare col distacco del tempo e la valutazione storica certi giudizi sui fatti e persone che corrispondono a un caratteristico giacobinismo di quei momenti”. Tra le pagine si intravvede la necessità dell’autore di non perdere l’onestà morale acquisita nell’esperienza partigiana. Un’onesta che si percepisce anche nel racconto e in quella pause che si interpongono alla tensione della guerriglia, come respiri profondi dopo un’apnea. Respiri di una vita che vuole riprendersi la sua normalità fatta di coraggio, sfortuna, incontri, sentimenti, piccoli gesti, vizi e virtù dei protagonisti.
E’ il volto segreto della resistenza. Eroi ed antieroi, uomini e donne che, combattendo per una necessaria ritrovata libertà restano quello che sono e che sanno essere: persone. Persone che scrivono però la Storia del nostro Paese e che in quella normalità non così normale sono destinati, attraverso le parole di Tutino, ad elevarsi a qualcosa di più di un semplice ricordo. Nerio, Nino, Maria, Gaddo. “Come sempre, ci si rese conto che la storia è fatta da tutti: ognuno, muovendosi, ci mette qualcosa di suo”.
Vale ad esempio il ritratto di Lola, nome partigiano di Aurora Vuillerminaz, che è dipinta come “la moglie ideale di un vero partigiano”, bella al punto che tutti se lo dicevano, ma che era tutt’altra cosa nel chi voleva confrontarsi col suo carattere. Aveva solo 22 anni quando, nell’ottobre del 1944, catturata dai militi fascisti, fu freddata con un colpo alla testa mentre svolgeva il suo incarico di staffetta.
“Sono scritti del tutto inediti”, scrive Tutino nel 1975, “che tali sarebbero rimasti se il fascismo, trent’anni dopo, non fosse tornato bestialmente vivo”. Valgano le stragi dell’Italicus e di Piazza della Loggia come esempio eloquente. “Ho voluto pubblicarli, adesso, perché sono dedicati ai compagni caduti e perché a modo loro riguardano l’origine di uno storico compromesso fra classi sociali diversamente interessate al fascismo: un problema di oggi”.