Joe R. Lansdale alza l'asticella con il suo "Il mambo degli orsi". Pesca nel fango razzista e non fa sconti

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Avvertenza
Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come
 me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.

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⭐ ⭐ ⭐ Buono
⭐ ⭐ ⭐ ⭐ Ottimo
⭐ ⭐ ⭐ ⭐ ⭐ Eccellente

La mia valutazione su questo libro:
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Pioggia, paludi e fango. Se ne sente quasi l’odore mentre lo si sfoglia, tanto ne sono impregnate le pagine. Parlo de “Il mambo degli orsi” di Joe R. Lansdale, western noir pulp dei “giorni nostri” pubblicato nel 1995 con il titolo di “Two-Bear Mambo”, uscito in Italia nel 2001 (la mia edizione è del 2018, Einaudi, traduzione di Stefano Massaron), ristampato a più riprese in varie edizioni (pure con una appendice di Sandrone Dazieri). Si tratta dell’ennesimo episodio, il terzo ad essere precisi, che ha come protagonista la strana coppia: Hap Collins e Leonard Pine. Uno è nero e l'altro bianco, uno è gay, l’altro è un segugio da ferormoni femminili. Hap è il prodotto di quella generazione della contestazione cresciuta con l’ideale della giustizia; cerca di fare la cosa giusta, ma è sovente costretto a mutare la rotta, mettendo in discussione la sua morale: a mali estremi, estremi rimedi. Leonard è il prototipo di chi è in lotta perenne contro il razzismo e lo fa però canzonandolo, prendendolo in giro, con ruvido cinismo e con un’ironia che taglia come una lama affilata di fresco. Entrambi navigano a vista, sul filo del rasoio, sul confine invisibile tra il bene e il male che giocano a scambiarsi ruolo e copione.

Per chi ha già letto i romanzi precedenti, in questo lavoro si nota profondamente l’evoluzione della serie e dei suoi personaggi: c’è più spessore nello sviluppo narrativo, sale la temperatura, il ritmo tende a mantenersi elevato, le carte non si scoprono con troppo anticipo. Si legge molto volentieri, anzi quasi lo si divora con troppa golosità e si rischia di finirlo come una coppa di gelato in piena estate. Se il primo capitolo di Hap & Leonard, “Una stagione selvaggia” abbozzava i personaggi su una retrospettiva degli anni della contestazione del Vietnam e il successivo “Mucho Mojo” li rilanciava in quel meridione americano pregno di irrisolte questioni razziali, questo “Il mambo degli orsi” consacra il duo a coppia perfetta, lo colloca con precisione emotiva e geografica in quella periferia texana tanto cara all’autore, gli da slancio verso la strada del successo mainstream. Celebra Lansdale, come ebbe modo di definirlo la critica americana, incoronandolo come lo “Stephen King del Texas”, una divinità del pulp western, un uomo con "una vena malvagia grande quanto il Rio Grande".

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"Non era un lavoro decente comunque”, disse Occhio Marcio. “Abbiamo lavorato lì per dieci anni e più e non abbiamo mai avuto un aumento. Quello stronzo era così tirato che quando sbatteva gli occhi gli si rivoltava il buco del culo. Spero che passi il resto della vita seduto in una di quelle cazzo di sedie che fabbricavamo noi, a riempirsi i pantaloni di merda e a farci il nido".
(Da “Il mambo degli orsi”)

Se fosse un film in streaming su una delle tante piattaforme, nelle avvertenze comparirebbero i termini: linguaggio scurrile, fumo, alcol, sesso, stupro, tortura, mutilazione sessuale. Tuttavia, a dispetto di quello che potrebbe apparire, la scrittura non è più spigolosa e viscida di quanto lo è la natura umana, quella vera, quella che si nasconde nei vicoli bui, nelle zone più oscure della nostra anima. Il problema è che raramente ci è mostrata per quello che è realmente. Joe R. Lansdale sa bene come mostrarcela, si è affinato scrivendo tanto e di ogni: thriller, gialli, western, fantascienza, storie, libri per bambini, sceneggiati di cartoni animati e testi per dozzine di fumetti. E quando si è sentito pronto ha varcato la soglia, ha iniziato a scrutare l’abisso e con lui i suoi personaggi, investigatori per sbaglio, cacciatori di anime perdute, ragazzacci di ventura.

Ed è così anche in questo libro che inizia a scaldarsi subito, nel fuoco con cui brucia la casa del vicino di Leonard e che diventa rovente nella spasmodica ricerca dell’ attuale compagna del capo della polizia ed ex ragazza di Hap: l’avvocato Florida Grange, sensuale, spregiudicata, nera! Troppo di colore per chi vive a Grovetown, una cittadina texana dove si fa colazione con uova, bacon e razzismo distillato in casa, dove va di moda il cappuccio sulla testa e la legge è quella del Ku-Klux Klan. E in più c’è il convitato di pietra che si muove con selvaggia, incurante, feroce imprevedibilità: è il tempo di quelle regioni dove i temporali da raffreddori diventano uragani con uno starnuto, dove la terra bagnata ti penetra nelle ossa e non ti lascia più.

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C’è l’America razzista senza veli, quella dei diritti civili negati. C’è però anche l’anima americana della speranza, quella che crede nella giustizia e nella legge. Si vedono dunque la luna e il sole, che sono facce opposte del giorno che è uno soltanto e che in Lansdale si offrono ad una lettura gotica, quando non ipnotica. Il tutto raccontato senza veli, con quella spudorata volgarità che è poi il linguaggio della strada e della periferia rurale, dei margini di una società abbandonata ad una sorta di degrado che s’accomuna alla decomposizione tipica delle paludi del sud. Si sente quasi il tanfo di quell’oblio dell’anima che imputridisce, sottraendo ossigeno alla ragione e che lascia spazio all’istinto, ad un primitivismo in cui si fondono uomo-bestia-zombie. A tutto ciò si aggiunge la passione dell’autore per la metafora, per il ricamo aneddotico, per la diversione nei dettagli. Tutto ciò arricchisce la definizione della scrittura, mette a fuoco i particolari ed i personaggi, offrendo tra le righe quei particolari intimi che ce li rendono familiari, vicini, più confrontabili col mondo reale. Più veri insomma!

Questo romanzo non scherza: è un geniale country noir ruvido, osceno, caratterizzato da un linguaggio incisivo che non ha censure. Stimolante, ma non per i deboli di stomaco o i puritani. Si ficca dritto nella tana del diavolo perché i demoni vanno affrontati nella loro casa. La tana delle malvagità umane che si chiamano razzismo, sessimo, suprematismo e che pare ben si adattino ai cambiamenti climatici, a differenza degli orsi che finiranno per estinguersi.

E inoltre: