Il miracolo nella Orvieto di inizio Novecento nella scrittura di Alice Tartufari

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Avvertenza
Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come
 me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.

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La mia valutazione su questo libro:
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Leggere un romanzo scritto nei primi anni del Novecento è sempre una straordinaria riscoperta linguistica. Vi si ritrova, infatti, un vocabolario ricco, straordinariamente bello, ma in larga parte perduto, anche se so bene che qualche lettore “moderno” preferirebbe definirlo desueto. E in effetti, lo ammetto, “Il Miracolo” scritto nel 1909 ed ambientato ad Orvieto, impone un certo sforzo per collocarlo nella sua epoca, giacché la scrittura e le parole sembrano assai più lontane nel tempo di quanto lo siano veramente e ci pare quasi di vedere, nella nostra mente, una scenografia tardo rinascimentale, piuttosto che un’ambientazione dell’inizio del secolo scorso.

Se poi quel romanzo è stato scritto da una donna, la lettura ci regala un valore aggiunto, nella sensibilità, nelle sfumature, nelle dinamiche del racconto. Parliamo di Clarice Tartufari (1868-1933), sconosciuta a gran parte dei lettori contemporanei, ma scrittrice italiana di talento, al punto che Benedetto Croce ebbe per lei parole di lode che lo spinsero a definirla addirittura superiore a Grazia Deledda in quanto a talento e forza narrativa. Insieme a Matilde Serrao e Ada Negri essa rientra tra le protagoniste della scrittura italiana al femminile di quel periodo, rappresentante del naturalismo e con alcuni romanzi di successo al suo attivo, anche per l’intensità con cui ella affronta i problemi esistenziali: “Roveto ardente” (1905), “Il miracolo” (1909), “Rete d’acciaio” (1919), “Il dio nero” (1921). Educata da precettori privati, Clarice Tartufari, si forma anche attraverso melodrammi del Metastasio, di Verdi e le poesie di vari autori, e da qui anche la sua versatilità per il testo teatrale. Il suo esordio risale al 1887 con la novella “Maestra”, in cui ella affronta il tema della discriminazione nei confronti delle donne che cercano la strada dell’emancipazione economica attraverso il proprio lavoro. Non ci stupisce dunque che Clarice, ad inizio secolo, vantasse collaborazioni con riviste quali la Nuova Antologia, Donna, La Ricreazione o che fosse tra le autrici della famosa “terza pagina” (quella culturale per antonomasia) dei quotidiani italiani, oltre ad essere apprezzata e tradotta oltre confine, in modo particolare in Germania e Francia.

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“Tutte le campane della piccola antica città umbra suonavano a distesa per l’esultanza della festa imminente, e sopra le viuzze tacite di Orvieto, sopra gli orti fronzuti, sui fastosi palazzi disabitati ed i vasti giardini sonnolenti, le note delle campane volavano a sciami, sparpagliandosi e disperdendosi, oltre la cerchia delle mura tufacee, giù per la soleggiata pianura verde irrigata dal Paglia, sino alla frangia lucente dei colli sinuosi”.

Vanna Brandimarte, una giovane donna il cui carattere deciso prende il sopravvento ai momenti di scoramento che il destino le impone, resta vedova di suo marito, Gentile Monaldeschi. Siamo in una Orvieto a cavallo tra il passato delle signorie e un presente di pace dove la Prima Guerra Mondiale è ancora un'eco lontana. La gente vive una sorta di Belle Époque di provincia, rotta solo a tratti da confronti dialettici, discussioni ideologiche da osteria e qualche tafferuglio tra devoti sostenitori della Chiesa e socialisti che nel Duomo di Orvieto speran tanto di installare una “casa del popolo”. In questa contrapposizione in cui la morale è permeata dalla fede, la giovane Vanna, cui il trapassato marito ha lasciato immobili e solide finanze a garanzia del suo futuro, si troverà ad affrontare una sorta di conflitto tra la vedovanza, punizione divina per aver peccato di essere stata troppo felice, e la reiterazione del peccato per aver accettato le attenzioni di un altro uomo, uno straniero per giunta. Un tedesco, tal Fritz Laugen, un personaggio godereccio, ma al contempo dotto, che sedurrà Monna Vanna trasformandola nella sua amante e generando uno scandalo di provincia per il cattolicesimo tradizionalista dell’epoca.

Accanto a Vanna è il figlio Ermanno, vero protagonista del romanzo, un bambino sveglio, molto sveglio, attento e acuto osservatore. Il cui destino, però, sarà segnato e portato al conflitto finale dalla madre, i cui contrasti interiori tra desiderio e morale lo spingeranno sulla strada del seminario, gli imporranno la via della tonaca di aspirazione cardinalizia, quasi immolato come il figlio di Isacco dalla madre, a prova della propria fede e del desiderio di espiazione delle proprie umane debolezze. Ma la strada della redenzione in cui Vanna Brandimarte sacrifica la giovinezza di Ermanno è lastricata di insidie che si insinuano tra preghiere e rosari cui il giovane si sottopone e che lo porteranno a fare i conti con la malattia, con la presenza vitale di Serena, compagna dell’infanzia spensierata, con gli stimoli di una vita materiale ed emozionale che pareva esser stata dimenticata e che sovrastano una vocazione per procura.

C’è una grande capacità nel caratterizzare i personaggi. L’autrice sa offrire loro una straordinaria espressività, ben ne delinea i contesti sociali ed i tratti psicologici.

A far da contorno a questa saga familiare si muovono i personaggi della società orvietana, sospesa sulla rupe in cui il borgo poggia, la Fabbriceria del Duomo di Orvieto con i suoi artisti e le sue liturgie, la tradizione religiosa che, ancora oggi, si rinnova nella festa del Corpus Domini e la leggenda del Corporale da cui essa trae origine: si narra, infatti, che nel 1263, in una piccola chiesa sul lago di Bolsena, durante l'eucaristia, Dio si manifestò al parroco, reo d’aver perduto la fede, con un miracolo in cui l'ostia iniziò a sanguinare e che macchiò il vestito del prete. Per tutto ciò, “Il Miracolo” testimonia, più di altri lavori, lo stile narrativo dell'autrice che si avvale d’una scrittura densa di dettagli, a pennellare in modo materico lo stupendo paesaggio su cui Orvieto si sporge, la sua architettura, le sue opere d’arte. Un romanzo che è dunque anche una pagina di storia, una guida più che mai attuale per la geografia urbana non espandibile di Orvieto e per le sue tradizioni che si perpetuano nei secoli.

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Questo mio invito alla lettura si chiude con quanto ha scritto la stessa Clarice Tartufari nell’incipit del suo libro, quasi a voler mettersi a nudo con il lettore: “questo romanzo, meditato con austerità, preparato con minuzioso studio e scritto con febbrile impeto di passione, troverà nel pubblico dei lettori consenso di simpatia? Sono io riuscita a trasfondere nelle pagine di Il Miracolo quella particolare tonalità di colore, che ammanta di vapori leggermente azzurrognoli il Duomo meraviglioso, e quel particolare soffio di tenue misticismo che sembra aleggiare attraverso le strade tacite di Orvieto? E i personaggi, taluni umili e ignari, abbarbicati ancora alle radici della razza, taluni irrequieti e affannosi, travolti dal vortice dei nuovi tempi, si divincoleranno dal passato, si lanceranno alla conquista dell’avvenire, integri e audaci come io li ho sentiti palpitare in me nell’ebbrezza gioiosa del mio sogno?”

L'opera è resa disponibile in ebook gratuito nel progetto Liber Liber.