Il dono di Cadmo: l'incredibile storia delle lettere dell'alfabeto di Alessandro Magrini

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Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come
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La mia valutazione su questo libro:
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“Partito da Tiro in Fenicia alla ricerca della sorella Europa che era stata rapita da Zeus, dopo aver affrontato tante peripezie e aver incontrato l’amore di Armonia, Cadmo terminò il suo viaggio per mare in Grecia, dove a tutti quanti i greci offrì un nuovo dono che offuscò persino la tecnica dispensatrice di Danao”.

Inizia così “Il dono di Cadmo” di Alessandro Magrini, un saggio snello di poco meno di duecento pagine, che, inseguendo il mito, vuole raccontarci la genesi e lo sviluppo di quello che Cadmo, il fenicio, portò a tutta le Grecia: un dono fatto di voce e pensiero, uno strumento in cui risuonava la lingua, “un segno inciso di un silenzio che zitto non sta”: l’alfabeto. Si tratta di un viaggio attraverso lo sviluppo di quelle lettere che usiamo ogni giorno per dare forma al nostro pensiero, per esprimere soddisfazione, ingegno o contrarietà, emozioni, desideri, per comunicare con gli altri simili, per riempire il silenzio che ci avvolge. Ed è proprio leggendo questo libro, che ci si accorge di quanto poco conosciamo di quelle lettere, o meglio di quei suoni diventati prima disegni e poi linee tracciate sulla pietra, sul papiro, sulla carta.

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Le copertine dell'edizione Ponte alle Grazie e di quella Mondolibri su licenza

Magrini gioca molto con le sue molteplici competenze che gli derivano dagli studi di filologia classica ed egittologia, dalle sue esperienze di insegnamento, dalle conoscenze sulle metodologie informatiche applicate alla scrittura, ma soprattutto si bea profondamente, e lo si percepisce chiaramente, della sua innata passione per lingue e per quel filo che, grazie ad ogni singola lettera del nostro alfabeto, unisce passato e presente. Egli ci porta per mano in quella metamorfosi che trasforma un vocalizzo, un suono che esce dalla bocca di un essere umano, in un disegno, un geroglifico. Una traccia che poi si semplifica, si trasforma in un segno più semplice, si trasferisce di cultura in cultura, di civiltà in civiltà, si piega, si raddrizza, si inverte e si usa per comporre parole. Anche quelle che sto scrivendo ora.

Così scopriamo, anche grazie alle riproduzioni, alle foto ed ai disegni che l’autore inserisce nel testo, che i geroglifici egizi costituisco la base del nostro scrivere, un alfabeto ante litteram. Apprendiamo la comunanza tra i diversi alfabeti che si svilupparono nel bacino del Mediterraneo e le motivazioni evolutive dettate dal modo di parlare, ad esempio l’iniziale mancanza di vocali dovuta la fatto di suoni puramente consonantici, tipici delle lingue semitiche e che oggi ritroviamo nell’arabo e nell’ebraico e che un tempo era la traccia identificativa di aramaico e fenicio. Infatti, la notazione dei suoni vocalici avviene proprio tra il passaggio tra il sistema fenicio e quello greco, non per vezzo, ma per l’esigenza di dare corpo a suoni che a qualcuno servivano per trascrivere il proprio modo di esprimersi, ma che ad altri non erano mai stati necessari, perché assenti nell’espressione linguistica quotidiana.

L’autore esplora, una per una, ogni singola lettera. Ne racconta la nascita: un “alp” sussurrato che diventa la testa di un toro in un cartiglio su un tempio di Tebe e che, forse per far prima, qualche scriba rende più snella nel trasformandola in un ovale con le corna che i fenici ruoteranno, stilizzandone esclusivamente le corna e che poi, al fine, i greci gireranno ancora offrendoci la nostra “A” di acqua, di amore, di amicizia. E via a seguire con la lettera “B” che giunge a noi da un geroglifico che simboleggiava una casa, la lettera “D” da un logogramma che indicava una porta, sino alla zeta.

Di un saggio parliamo, non troppo complicato da comprendere, ma non sempre così fluido da poterlo digerire a fiumi di pagine, anche perché l’autore ci tiene a non dimenticare nulla e quindi, qual consiglio di lettura, distribuiamo ogni lettera giorno dopo giorno, sera dopo sera, un pò come le pastiglie per l’ipertensione, giusta dose quotidiana, senza esagerare. In tal modo ci si divertirà molto nello scoprire che il movimento rotatorio di alcune lettere, dalla loro “specchiatura” dalla grafia più antica a quella odierna, deriva dalla direzione di scrittura: i fenici scrivevano di norma da destra a sinistra, abitudine rimasta in molte culture odierne; i greci usavano tre modalità, incluse le righe alternate sinistra/destra e destra/sinistra; con il latino arriviamo alla nostra usuale direzione da sinistra a destra.

Come non restare sorpresi, ad esempio, nell’apprendere con dovizia di particolari, che è ai nostri cari Etruschi dobbiamo l’evoluzione del nostro alfabeto (parola costruita utilizzando tra l’altro le prime due lettere: alpha e beta) e che, in epoca romana, l’unica sostanziale creazione, la lettera “G”, apportata all’alfabeto a secoli di distanza dall’apprendimento dello stesso dalla cultura ellenica, fu introdotta da un ex schiavo di cui “ignoriamo quasi tutto, persino il nome di nascita”. Ed è in queste piccole “chicche” che Magrini riesce a sorprendere il lettore. Come quando ci ricorda che la “H” in italiano non serve ad un acca, ma solo a distinguere parole che si pronunciano uguali, ma hanno funzioni e origini diverse (ha e a) oppure che trascina con se l’etimologia latina di termini come “avere” che deriva da “habere”, guarda caso con la nostra cara acca. Prendiamo ad esempio la consonante “J”: non la si usa praticamente più, ma vi basterà andare a pescare un vecchio libro scolastico di geografia per scoprire che un tal mare lo si scriveva “Jonio” e non molto tempo addietro. Per i più curiosi e per gli amanti della numerologia il libro riporta con cura l’associazione tra le lettere dell’alfabeto e i numeri.

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In un’intervista in cui gli si chiedeva cosa lo avesse spinto a parlare dell’alfabeto egli ha risposto “perché le lettere dell’alfabeto sono tra gli strumenti più utilizzati al mondo, se non proprio i più utilizzati in assoluto. Forse non ne siamo consapevoli, ma usiamo questa manciata di caratteri continuamente, decine di migliaia di volte al giorno”. L’autore dosa e amalgama abbastanza bene la nozione storico accademica, il rigore scientifico e la capacità divulgativa con la necessità di semplificare l'informazione un poco più ostica. Ogni tanto, lo ammetto, serve tornare indietro di qualche pagina, ma è il giusto prezzo da pagare per dare senso e godibilità ad una storia che ci appartiene sin dalle prime classi della scuola, dai primi scarabocchi sul quaderno. Dopo la lettura di “Il dono di Cadmo” mi è più chiaro perché da bambino mi era così difficile scrivere “scuola” che storpiavo in “squola”, ma questo ve lo lascio scoprire da soli.