Gaio Plinio Cecilio Secondo detto il giovane: comme s’arricettaie zizío: ovvero le lettere a Tacito sulla morte di Plinio il Vecchio tradotte in napoletano

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Avvertenza
Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.


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La mia valutazione su questo libro:
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Potremmo considerarlo una piccola chicca da bibliofili, questo piccolo volumetto 12 x 15 cm edito da Arte’m curato da Carlo Avvisati e che vanta quale autore un nome che si perde nei meandri del tempo, tal Gaio Plinio Cecilio Secondo detto il Giovane. Stride un poco, a prima vista, il titolo del libro firmato da questo rappresentante della romanità colta, giovane rampollo della Roma bene scampato al disastro di Pompei, anzi testimone oculare d’eccellenza di una delle eruzioni più celebrate al mondo, quella del Vesuvio accaduta nel 79 d.C. Titolo che suona come “Comme s’arricettaie zizìo”. Non si tratta però di una curiosa o colta parlata della Roma Antica, ma di una lingua che a chiamar dialetto e tantomeno inflessione si commetterebbe peccato, perché il napoletano, in cui le famose lettere a Tacito sulla morte di Plinio il Vecchio qui sono tradotte, è da considerarsi lingua a tutti gli effetti, senza ma e senza perché.

“Da Caio Plinio a lu cumpagno suio Tacito. Salute. Tu vuó ca te conto comme murette zìemo, p”o pputé ripurtà, senza nisciuna jonta, a cchilli ca sarranno a mmunno ‘ntra quarch’anno. I’ te songo ubbrigato, pecché tengo certezza ca si ne parle tu, ‘a morta soia è destinata a na gròlia senza fine”. Ovvero “Mi chiedi che io ti esponga la morte di mio zio, per poterla tramandare con maggiore obiettività ai posteri. Te ne ringrazio, in quanto sono sicuro che, se sarà celebrata da te, la sua morte sarà destinata a gloria immortale”.

L’operazione, simpatica ma dotta al contempo, è curata da Carlo Avvisati, esperto di archeologia pompeiana, giornalista, autore di numerosi libri, oltre che della traduzione in napoletano di un classico della letteratura latina, “Remedia Amoris di Ovido”, tradotto con il titolo di "Mmericina sanammore". Questo suo “Comme s’arricettaie zizìo” è un libro che sta comodamente nello zaino, ma anche nella tasca posteriore dei pantaloni (lo dico per chi, come me, se lo è portato sul cratere del Vesuvio).

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Esso presenta alcune interessanti peculiarità. La prima è squisitamente storica, in quanto ripropone nella versione latina, così come nella traduzione italiana, le due famosissime lettere che, nel I secolo d.C., Gaio Plinio Cecilio Secondo, detto il Giovane, inviò allo storico Tacito per descrivere con dovizia di particolari quell’eruzione passata alla storia che, sul litorale dell’antica Stabiae, tolse la vita allo zio Gaio Plinio Secondo, detto Il Vecchio, naturalista, stimato scienziato, oltre che comandante della flotta romana in ancora nel Mediterraneo, precisamente a Miseno, salpato prontamente con una pesante quadriremi per portare aiuto alle popolazioni coinvolte nel cataclisma che spazzo via Pompei, Ercolano e tante altre località affacciate sul golfo di Napoli.

Una seconda caratteristica risiede nell’interesse scientifico racchiuso in quelle due epistole, un resoconto accurato usato da secoli dai vulcanologi, sismologi, geologi per comprendere le dinamiche dell’eruzione, in quanto prima eccezionale cronaca scritta e pervenuta ad oggi di una catastrofe che sconvolse la vita di migliaia di persone, lasciando una scia di distruzione e morte. Non è un caso perciò che nel libro facciano bella mostra gli interventi a presentazione e prefazione dello stesso del vulcanologo Giuseppe Luongo (professore emerito di Geofisica della terra solida all’Università Federico II di Napoli, già direttore dell’Osservatorio Vesuviano), di Agostino Casillo, presidente del Parco del Vesuvio, e del professor Massimo Osanna, archeologo, già direttore generale del Parco Archeologico di Pompei.

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L’aspetto, invece, più curioso del lavoro di Avvisati è la traduzione in napoletano delle lettere di Plinio il Giovane, con la quale il lettore, in modo particolare se immerso nella cultura e nel vociare partenopeo, perché impegnato nella visita dei luoghi citati, può cimentarsi in una singolar tenzone tutta dialettica e misurarsi con un dizionario ricco e colorito. “Duemila anni dopo, le lettere di Plinio restano ancora la più emozionante delle testimonianze dell’epoca, soprattutto per noi vesuviani” afferma Agostino Casillo che poi prosegue: “leggerle in napoletano crea un’empatia profonda tra il lettore, la sua terra, le sue radici, ed il vulcano sulle cui ceneri è rinata la sua civiltà”. Il napoletano, lo ribadisce Casillo nella presentazione, ha un’innata musicalità e ciò rende la sua lettura gradevole e affascinante.

Allo stesso modo Massimo Osanna ci ricorda come il dialetto napoletano sia oggi considerato una vera e propria lingua, oggetto di esami ed insegnamenti universitari non solo in Italia, ma anche all’estero. Una lingua già impegnata nel ‘700 in ambito diplomatico, con una ricca tradizione artistica letteraria e teatrale che ha portato l’Unesco a riconoscerla come una "lingua" vera e propria da preservare e tutelare.

“Llà, a rriva ‘e mare, appujato ncoppa a nu panno stiso pe’ tterra, ‘o zìo cercaie nu pare ‘e vote nu surzo d’acqua fresca e s”a bevette. Po’ cierti llampe ‘e fuoco e nu fieto ‘e zurfo ca purtava mmasciata ‘e sciamme, ne fanno fuì a ll’autre e fanno scetà a isso. Appujànnose ncuollo a dduie schiavutielle, ncarraie a s’aizà ncopp”e ggamme, ma subbeto se scunucchiaie”.