Folk, canzoni e poesie di Bob Dylan. non solo un autore di canzoni, ma anche un autore di versi per canzoni.

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Avvertenza
Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.


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La mia valutazione su questo libro:
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Ho sempre ricordato Bob Dylan per le note della canzone “Mr. Tambourine Man”, scritta nel 1964 ed inserita nel suo quinto album "Bringing It All Back Home", da molti e pure da me considerato uno dei brani fondamentali della musica rock degli anni sessanta. Bob Dylan è per me uno spartiacque, è il solco che separa il revival del folk americano e la fine del folksong stesso, è l'inizio di una nuova storia, quella del rock, Lo ricorda molto bene Rolf Ulrich Kaiser nel suo "Guida alla musica pop" quando narra dell'evento che cambiò tutto, il giorno dell'apocalisse. Era il 1965. A Newport, Rhode Island, il 25 luglio di quell'anno davanti alla città si svolge il celeberrimo folk festival, in migliaia di giovani aspettano il cantante, lo chiamano, sono ancora turbati per quanto hanno ascoltato nel suo nuovo single che, si stupiscono in tanti, sembra quasi voler rinnegare la purezza del suo primo grande successo "Blowin' in the wind".

Un mormorio di sconcerto sale dal pubblico quando, comparendo sul palco, egli imbraccia non la classica chitarra elettrica che lo aveva imposto come uno tra i puri del folk americano, colui che attingeva dalle origini del genere, ma bensì una chitarra elettrica. Kaiser virgoletta, nel descrivere l'evento, quanto ebbero a dire due dei biografi di Dylan, Barbara e Sy Ribakove: "la vista dello strumento infuriò la folla, ai suoi occhi rappresentava l'odiato simbolo del rock'n'roll, un simbolo del tradimento nelle mani dell'uomo che era stato il suo dio".

Ciò che la cronaca di quel concerto ci racconta ha dell'incredibile. All'inizio della terza canzone il coro dei presenti invita Bob a buttar via la chitarra, lo fa con una certa energia, non certo creativa, di quella che servirebbe al giovane cantante. Dylan interrompe il concerto, si guarda intorno smarrito ed abbandona il palco. Peter Yarrow lo richiama, lo rivuole in scena. Quando rientra il cantante ha gli occhi umidi, tra le mani tiene la cara vecchia chitarra acustica, intona "It's all over now, baby blue". Sarà la sua canzone di addio al festival di Newport, ma anche ad un repertorio in cui non si riconosce più, il momento che segna il "cambiamento", perché il mondo e la società stavano cambiando.

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Bob Dylan, all'anagrafe Robert Allen Zimmerman, è nato a Duluth il 24 maggio 1941. Nel corso della sua lunga e leggendaria carriera egli ha saputo spaziare dal dal gospel al rock and roll, dal country al blues, passando per le sonorità jazz sino alla più tradizionale musica popolare inglese, scozzese ed irlandese. Ma ciò che, più di ogni altra cosa, lo ha contraddistinto sono stati i suoi testi, quelli che poi diventavano musica. In un'epoca dove, quando si metteva un disco sul piatto, si ascoltava anche quello che l'autore ci raccontava attraverso i testi e non solo una melodia ritmata fine a se stessa.

È indubbio: è sempre stata forte l’influenza della letteratura e dalla storia americana sui testi delle canzoni di Bob Dylan. Come è stata fondamentale su di lui l'influenza esercitata dai poeti che leggeva già da adolescente: Elliott, Ginsberg e tutta la scuola della beat generation, ma soprattutto Rimbaud. Il musicologo Alessandro Carrera lo dice chiaramente: "forse non c’è stato nessun poeta che abbia avuto su di lui quell’impatto che ha avuto Rimbaud, tra il '62 e il '65". Nonostante egli fosse un autodidatta, poco gli interessava l'università e alle letture arrivava per propria scelta, Bob Dylan è un poeta. Un poeta che, nel 2016, si merita il Premio Nobel per la Letteratura "per aver creato nuove espressioni poetiche nella grande tradizione musicale americana".

E in fondo questo libro, edito in Italia nel 1978 da Newton Copton nella collana Paperback Poeti, curato da Alessandro Roffeni, è la conferma di un Dylan scrittore di versi. Il volume raccoglie testi risalenti alla produzione del decennio 1961-71, non solo canzoni, ma anche brani certamente non destinati ad essere musicati e trasformati in disco. Roffeni parla di un poeta del negativo con un ritmo di distorsione impoetica. In ciò che Dylan scrive si percepisce tutta la valenza di un'epoca in cui il volume del cambiamento, dell'insofferenza, era tale da faticare a contenerlo. Vi si comprende appieno quel 25 luglio 1965. C'è forte il senso di una poesia del rimpianto, di ciò che non è stato. C'è il senso della rinuncia, lacerata a tratti da parole e forme espressive che pare vogliano riproiettarci ad una visione di speranza.

Su Dylan narratore ci sarebbe ancora molto da dire, per non parlare poi del Dylan cantante che ha saputo più di ogni altro essere non solo un autore di canzoni, ma anche un autore di versi per canzoni. Ma mi fermo qui con questo mio invito alla lettura, rimandando ad altrove altre storie su un poeta nascosto tra le note delle sue ballate. Nota per i puristi: il libro ha il testo in inglese a fronte