David Safier torna a farci ridere con L’orribile attesa del Giudizio Universale. Trionferà il bene?

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Avvertenza

Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come
 me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.

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⭐ ⭐ ⭐ Buono
⭐ ⭐ ⭐ ⭐ Ottimo
⭐ ⭐ ⭐ ⭐ ⭐ Eccellente

La mia valutazione su questo libro:
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Dopo “L’orribile karma della formica”, pubblicato nel 2009, il tedesco David Safier torna a tirarci su il morale con questo “L’orribile attesa del Giudizio Universale” (Sperling & Kupfer, 2010), dove l’aggettivo “orribile” altro non è che quell’innato sarcasmo che unisce i due libri e che l'autore usa come parmigiano reggiano grattugiato sulla pasta, senza dunque risparmiarsi, per farci sorridere. E di risate, credetemi, se ne fanno tante, anche quando ad essere presa in giro è la profezia del Giudizio Universale con tutto il corredo teologico che ne consegue e la figura di un disorientato, quasi stordito, Gesù tornato sulla terra per prender parte alla battaglia finale contro i quattro cavalieri del male.

Safier sa però canzonare con garbo, senza trascendere nel volgare, spostando l’attenzione sul soggetto principale della storia, la voce narrante di Marie e il suo essere donna: trentacinque anni, qualche chilo di troppo ed una serie tragicomica di fallimenti sentimentali alle spalle. Soprattutto sa farlo, nello stile che abbiamo già imparato a conoscere grazie al suo precedente lavoro narrativo, scrivendo come se egli fosse una donna, pensando come una donna, entrando in perfetta simbiosi con la sua protagonista femminile. Il tutto con quello stile da commedia umoristica in cui l’autore sa cogliere l’attimo e la battuta, aiutato certamente dall’esperienza maturata nella scrittura per la televisione (sua la serie televisiva Lolle, con la quale si è aggiudicato il Premio Adolf Grimme nel 2003 e l'International Emmy Award per la migliore commedia nel 2004).

E di commedia pura parliamo quando, al bicchiere già colmo delle sventure sentimentali, la nostra protagonista aggiunge la goccia che fa traboccare il vaso: al momento del fatidico “sì” con Sven, a prima vista onesto e dolce futuro compagno di vita che al suo essere sfigato baratta una sorniona disattenzione alla cellulite della sposa, Marie risponde con un diniego pubblico, nemmeno poi tanto sofferto nell'elaborazione filosofica del concetto per lei inaccettabile del "finché morte non li separi". E a questo punto, giusto per parafrasare le sacre scritture, apriti cielo.

Ma quando tutto sembra perduto nel piccolo paese di Marie arriva ad illuminare la scena, come la stella cometa poggiata sulla grotta di Betlemme, un nuovo scapolo, affascinante, ipnotico nel suo modo di fare e di parlare, rassicurante. Si chiama Joshua e fa il falegname, ha uno sguardo penetrante, una voce profonda, un sorriso celestiale. Piomba sul palcoscenico come un'apparizione dei tempi andati, si guarda intorno come se fosse appena sbarcato sulla terra da un altro mondo. Marie se ne innamora. Tutto ciò che accade dopo è puro divertimento. Dalla rivelazione di essere Gesù alla reazione di Marie che fa scattare nella sua testa l'allarme rosso, talmente rosso da chiamare in causa l’astronave Enterprise e il suo capitano Kirk. Finché non scopre che Joshua è veramente il Messia, tornato sulla terra per il Giudizio Universale.

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Balza all’occhio di chi legge che il ritmo talvolta s’inceppa, ma va da sé che la rivisitazione della profezia dei vangeli, e nemmeno più di tanto così rivisitata, impone qualche riflessione e che la risata a corrente continua rischierebbe di diventare isterica. Forse qualche pagina di meno ci avrebbe fatto volare più vicino al sole, ma è l’autore quello che decide quanto dobbiamo abbronzarci e noi ne rispettiamo la scelta.

A chi si prefigura una lettura stile il “Vangelo secondo Gesù Cristo” del Nobel portoghese Saramago, devo subito dire che siamo lontani anni luce, anche nell’intento, che lo approssima maggiormente ad un libro come “A volte ritorno” di John Niven. Non c’è, nella presa in giro che attualizza un’epica religiosa vecchia più di duemila anni, l’intento di essere blasfemi o di smentire teoremi religiosi, né tantomeno di demolire o ridicolizzare la fede che, anzi, in questo “L’orribile attesa del Giudizio Universale” si rafforza, facendoci riflettere sull’ovvio, sulle debolezze umane e su quanto sia sottile il diaframma che separa bene e male. Una battaglia costante, la cui eco fragorosa Safier smorza inserendo nel libro alcune geniali vignette. Tutto con una grande leggerezza, talmente leggera che il vero peccato, approcciando a questo romanzo pseudo religioso, sarebbe pensare che esso possa scendere in profondità e scatenare la nostra coscienza. Nulla di tutto ciò!

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In verità al centro della storia Safier mette l’amore. E con esso esalta il valore cardine di ogni essere umano, il dono più prezioso e forse anche più pericoloso, che il Creatore ha fatto all’umanità: il libero arbitrio. La possibilità di scegliere tra bianco e nero, tra piangere e ridere, tra cielo e terra. Il dilemma di una scelta che non risparmia nessuno, nemmeno l’Arcangelo dell’Annunciazione, Gabriele, che sceglie l’evirazione delle ali per un amore non corrisposto, ritrovato alle porte del Giudizio e in tarda età, un po’ come nell’”Amore ai tempi del colera”. Nemmeno Gesù ne esce indenne, sbigottito neo umano sempre in bilico tra l’Olimpo e il suo ruolo di salvatore universale e quel desiderio di riscoprire la parte “terrena” di se stesso. In un gioco, tiepido e sbiadito riflesso letterario del “Caino” di Saramago, in cui gli antagonisti storici, Dio (che si regala la fisionomia di Emma Thompson) e Satana (nelle vesti di George Clooney), si sfidano nella gestione del gregge nato dalla polvere e che polvere è destinato a tornare, quasi fosse una partita a briscola, seduti a tavolino, come compagni dell’infanzia perduta, davanti ad un bicchiere di lambrusco.

Perché forse è così che dovremmo leggere questa commedia, con spensieratezza, seduti con una birra fresca tra le mani a dilavare il gusto salato delle patatine.

E inoltre: