Da leggere insieme il "Canto di Natale" di Charles Dickens, in difesa dei più deboli e della speranza

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Avvertenza
Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come
 me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.

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La mia valutazione su questo libro:
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Ciò che ero, ciò che sono, ciò che vorrei e posso essere. Se fosse stato pubblicato oggi, invece che nel 1843, “A Christmas Carol: A Goblin Story of Some Bells that Rang an Old Year Out and a New Year In”, noto anche come Cantico di Natale, Ballata di Natale, Racconto di Natale o “Canto di Natale”, il suo autore Charles Dickens avrebbe fatto concorrenza in libreria a “Sfida delle Emozioni” della famosa mental coach italiana Nicoletta Simonazzi, quanto per ridare stimolo, spirito e coscienza all’interprete della storia.

Quasi nessuno lo rammenta, ma questo libro e il suo protagonista, tal Ebenezer Scrooge, visitato nella vigilia di natale da tre spiriti (il Natale del passato, del presente e del futuro), preceduti da una severa apparizione dello spettro del defunto amico e collega Jacob Marley, è stato per 180 anni circa (e lo è ancora) la fonte di ispirazione di film, sceneggiati, cartoni animati dedicati al Natale. Cito, a titolo di esempio, cinque successi planetari: Canto di Natale di Topolino (1983), S.O.S. Fantasmi (1988), Festa in casa Muppet (1992), A Christmas Carol (2009), Dickens – L'uomo che inventò il Natale (2017).

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La storia la conoscono davvero tutti: Scrooge è un uomo d’affari avaro ed egoista, trascura affetti e famiglia, è impietoso con chi lavora per lui, rifugge la beneficenza a qualsiasi titolo, non sa apprezzare le piccole cose e, più di tutto, snobba il Natale e tutto ciò che esso porta.  

"Non siate così di malumore, zio" disse il nipote. "Sfido io a non esserlo" ribatté lo zio "quando s’ha da vivere in un mondaccio di matti com’è questo. Un Natale allegro! Al diavolo il Natale con tutta l’allegria! O che altro è il Natale se non un giorno di scadenze quando non s’hanno danari; un giorno in cui ci si trova più vecchi di un anno e nemmeno di un’ora più ricchi; un giorno di chiusura di bilancio che ci dà, dopo dodici mesi, la bella soddisfazione di non trovare una sola partita all’attivo? Se potessi fare a modo mio, ogni idiota che se ne va attorno con cotesto “allegro Natale" in bocca, avrebbe a esser bollito nella propria pentola e sotterrato con uno stecco di agrifoglio nel cuore. Sì, proprio!”.
"Zio!" pregò il nipote.
"Nipote!" rimbeccò accigliato lo zio, "tieniti il tuo Natale tu, e lasciami il mio”.
"Il vostro Natale! ma che Natale è il vostro, se voi non ne fate?”
(da Canto di natale” di Charles Dickens)

Accade però qualcosa di inaspettato, a far da copione ad ogni Natale “fantastico" che si rispetti, ovvero che i tre fantasmi del Natale (passato, presente e futuro) conducano, di visione in visione, un atterrito Scrooge a pentirsi del proprio egoismo guardando alla sua vita trascorsa ed alle occasioni perdute (ciò che ero), scampando ad una morte solitaria e meschina (ciò che sono) e portandolo a mutare il suo atteggiamento verso il mondo, gli altri e il Natale (ciò che vorrei e posso essere). Il commovente lieto fine, con uno Scrooge che prende coscienza e si trasforma in amabile benefattore e nello zio perduto e ritrovato, ridà serenità e senso al Natale ed allo spirito che questa festa regala ad ognuno di noi.  

E’ il “miracolo nella 34ª strada” che Charles Dickens ambienta in una piccola cittadina dell’Inghilterra vittoriana affetta da tutti i grandi problemi della società dell’epoca in piena rivoluzione industriale e che, attraverso una semplice, ma efficace narrazione gotica pone l’accento, e senza dubbio una critica, sulle forti disparità sociali e sulla povertà delle classi meno abbienti sfruttate dal ceto manifatturiero e mercantile, esasperando il lavoro minorile e femminile, facendo leva sull’analfabetismo, sulla necessità di sopravvivere (anche a fronte di malattie le cui cure erano precluse a chi non poteva permettersele). Criticità mai risolte dalla Poor Law inglese (Legge contro la povertà) che non fu in grado di offrire risposte reali ai problemi dei più bisognosi. Il testo si inserisce in un contesto letterario in cui comincia ad affermarsi il romanzo realista che presta particolare attenzione agli umili e ai poveri, mettendo in luce le grandi contraddizioni di una stagione in cui stabilità e crescita economica prodotte dall’industrializzazione e dai commerci coloniali, fanno da contraltare allo sfruttamento degli strati più bassi della popolazione, creando forti e crescenti tensioni sociali tra i più sfruttati e quella grande grande borghesia imprenditoriale che si nasconde dietro il velo dell'ipocrisia e del perbenismo.

La critica alla borghesia britannica di Dickens è quindi palese, ma l’autore, prendendo il Natale come ideale pretesto, riflette e fa riflettere sulla speranza che, attraverso una presa di coscienza ed una rinnovata moralità dell’individuo le cose possano cambiare, che esista insomma una speranza e che tutto non sia perduto. Ed il giorno di Natale è indiscutibilmente perfetto per parlare di rinascita. Il testo è strutturato in cinque sezioni che l’autore chiama “strofe”, come quelle di una canzone o di una poesia, dando una certa teatralità ad una effettiva rappresentazione del Natale.

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Tra le mani mi sono capitate due edizioni con le quali periodicamente rivivo questo “canto”. La prima è una stampa CDE su licenza Rizzoli, editata per la prima volta nel 1976 in Italia per la traduzione di Maria Luisa Fehr, resa ancor più gradevole da alcune illustrazioni di Arthur Rackman, conosciuto illustratore dell’epoca vittoriana che ebbe a rappresentare molti libri celebri, tra cui anche Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll. Una seconda lettura è quella resa disponibile in formato elettronico da Liber Liber e tratta dal testo di “Cantico di Natale in prosa: racconto di spiriti” di Carlo Dickens (esattamente all’italiana), la prima nel nostro Paese tradotta da Federigo Verdinois per i tipi della Ulrico Hoepli e data alle stampe nel 1888. Questa edizione, diciamo più antica, resta una vera chicca per l’italiano utilizzato nella traduzione che riflette dizionario, struttura della prosa e modi di dire dell’Italia di fine 800.

Visivo e penetrante, allegorico e ricco di immaginazione, grazie ad un narratore onnisciente che conosce alla perfezione situazioni del presente, del passato e del futuro, la psicologia dei personaggi, le loro azioni, questo è il libro ideale, stante anche le sue poco più che cento paginette, per essere letto insieme ai propri figli, nel tepore domestico e nella magica atmosfera che questa festa ci regala.