Con Marco innocenti ne “L’Italia del 1943. Come eravamo nell’anno in cui crollò il fascismo”

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Avvertenza

Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come
 me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.

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La mia valutazione su questo libro:
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Il 1943 è un anno tragico, con due date fondamentali: il 25 luglio e l'8 settembre. Per gli italiani è una stagione fatta di fame, paure, bombe, tedeschi, americani, fascisti, partigiani. L'armistizio dell'8 settembre 1943, così come la conseguente rapida e brutale reazione dell'esercito tedesco, in Italia avevano provocato una catastrofe della struttura politica, amministrativa, civile e militare; in pochissimi giorni la Wehrmacht aveva occupato gran parte della penisola e aveva disarmato e catturato centinaia di migliaia di soldati dell'esercito italiano. Il 1943 è anche la ritirata dalla Russia, è la scoperta che la guerra è perduta, è il martirio delle città, la decadenza fisica e morale del Duce, il crollo di un mito.

L’anno dell’Italia divisa, nei libri di storia, coincide con lo sbarco in Sicilia, con il fascismo che cade a fronte di un esercito senza ordini che diserta compatto. E' la calata dei tedeschi, i primi giorni di Salò, è la guerra civile. Con l’armistizio si apre per il nostro Paese un periodo tra i più bui, la cui ricostruzione continua a innescare violente polemiche. Dopo l’8 settembre i Savoia riparano a Brindisi per fondare il “Regno del Sud”, mentre Mussolini è liberato ed annuncia la nascita della Repubblica sociale italiana. La Penisola, divisa fra i due fronti lungo la linea gotica, diventa un punto nevralgico per le sorti del conflitto; a farne le spese è una popolazione straziata, divisa, colpita dai bombardamenti e condannata all’orrore di una lotta fratricida. Intanto, in un vortice di avvenimenti, la guerra si avvicina alla fine: Roma occupata e liberata, l’eccidio delle Fosse Ardeatine, lo sbarco in Normandia, la Conferenza di Yalta, la “macelleria messicana” di piazzale Loreto, il suicidio di Hitler, la presa di Berlino, le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, il processo di Norimberga e la difficile Conferenza di pace. Tutto inizia nel 1943!

Marco Innocenti, giornalista e scrittore, per oltre vent'anni responsabile del settore esteri al quotidiano “Il Sole 24 Ore”, in questo suo saggio “L’Italia del 1943. Come eravamo nell’anno in cui crollò il fascismo” (Mursia, 1993) va oltre la rendicontazione storica o l’analisi dei fatti principali. Egli si insinua tra le pieghe della storia italiana, ci descrive le sensazioni che saturano l’aria, ci riporta gli odori e i rumori, le canzoni, la vita quotidiana delle persone comuni, Parla di noi italiani divisi e lacerati dalla guerra. Per questo, aiutato da un corredo di una settantina di fotografie e da una scrittura sciolta con un gradevole stile giornalistico, questo saggio si trasforma in un racconto d’altri tempi in cui l’aspetto tragico è spesso levigato dall’ironia di chi scrive.

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Anche i titoli dei capitoli in cui Innocenti seziona il suo lavoro, non mancano di un certo humor. C’è, ad esempio, “Prima la patria e poi la morosa”, con la stella cometa che attraversa il cielo e la fame che morde dentro, ma anche le pubblicità delle medicine che tormentano gli italiani: Rodina Montecatini per raffreddori, reumatismi, nevralgie; la Pasticca del Re Sole per la tosse: il purgante Gazzoni; il Veramon; la Magnesia Bisurata e chi più ne ha, più ne metta. Ma c’è pure “I gatti in padella” dove la fame, questa continua grande fame che ci affligge, si affianca al tema degli sfollati. Già! Perché di fatto l’Italia, nel 1943, è un paese di sfollati che “si arrampicano sui treni come scimmie e alloggiano dove e come possono”. Hanno buone gambe, spingono carrelli e tricicli carichi di masserizie. In questo racconto della quotidianità spicciola e di sopravvivenza, che talvolta ci fa sorridere o ci sorprende per l’ingegno italico, l’autore ci mostra anche l’orizzonte più ampio dello scenario bellico e politico, italiano e internazionale, rendendolo decisamente più digeribile a chi legge. E così, tra le vicende di Mussolini o degli Alleati, spuntano i pomodori e le melanzane degli orti di guerra, si sfogliano i quotidiani ed i settimanali in cerca di ricette “di fortuna”, quelle di Petronilla sulla “Domenica del Corriere” o della Signora di Casa su “Eva”.

 “L’Italia del 1943. Come eravamo nell’anno in cui crollò il fascismo” è una lettura edificante per la memoria, non tanto per ciò che vorremmo dimenticare sul fascismo e la guerra in cui lo stesso ci fece precipitare, ma per quello che raramente ci viene tramandato di quell’epoca: la capacità di resistere, di andare avanti, di ricostruire, sperare, ricreare una normalità in un quotidiano che di normale non ha nulla. E ciò tanto mi ricorda il racconto della vita nella Ramallah occupata dagli israeliani che ci fa Suad Amiry nel suo “Sharon e mia suocera - Diari di guerra da Ramallah, Palestina”.

Nel capitolo “Compagni si sciopera” c’è la storia di un esercito alla deriva, di una ritirata che più disfatta di così non si può, ma c’è pure la rivolta degli operai al grido di “sacco vuoto non sta in piedi”, l’occupazione delle fabbriche, la confusione, il disorientamento. Innocenti però non dimentica che in quello scenario a far notizia è la vincita al lotto di un detenuto delle carceri di Vignola, duemila lire con un ambo di 9 e 12, gli articoli di legge con cui era stato condannato. Che a tenere su il morale, mentre si sovrapponevano le notizie dei partigiani titini che attaccavano i nostri militari, erano le barzellette, guarda caso sulla fame: “Cameriere, il pesce era migliore la settimana scorsa. Strano signore, è sempre lo stesso” oppure “Quale fiore preferite? Il cavolfiore”.

Ed è così che questo racconto va avanti, alternando al resoconto dell’abbandono dell’Africa l’elenco delle canzoni che gli italiani ascoltano alla radio in quegli anni difficili, i fotogrammi di “Casablanca” con Bogart e la Bergman che vincono l’Oscar, così come l’immagine dei bambini spediti, nell’estate del Bel Paese devastato, alle colonie elioterapiche. Bambini che, tra gli stenti di quel dopoguerra appena iniziato, scoprono per la prima volta il mare, “il cielo azzurro come lo hanno dipinto sui quaderni delle elementari”.

C’è tanto da raccontare, tanto da ricordare, ancor più da sapere di quel 1943 che alle nuove generazioni sembra così incredibilmente lontano. Ma che, come scrive in prefazione di questo libro il suo autore, “è un anno in cui succede di tutto. L’anno della capra secondo il calendario cinese: chi vi nasce è capriccioso, timido, creativo, istintivo, nervoso; chi vi muore, e sono tanti, forse avrà una tomba precaria in terra straniera”.