Cambiare l'acqua ai fiori di Valérie Perrin: commuove toccando nel profondo chi legge

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Avvertenza
Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come
 me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.

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La mia valutazione su questo libro:
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"Cambiare l'acqua ai fiori" (editore e/o, traduzione di Alberto Bracci Testasecca, 2019, uscito anche in edizione Mondolibri) è un romanzo che emoziona molto. Commuove toccando nel profondo chi legge. Alterna ai temi della vita (perdita, amore, gioia, sofferenza, rinascita) i temi della morte in cui perdita, amore, sofferenza e rinascita tornano con forza, mescolandosi nel crogiuolo del ricordo di chi resta. L’autrice ne parla con una delicatezza sorprendente, ma ci mette qualcosa di sé, fotografa, sceneggiatrice e scrittrice, in quel colto e continuo richiamo, fatto di citazioni dall’accento d’oltralpe, di cantanti, di canzoni, libri e artisti, con qualche licenza anglosassone come per “Le regole della casa del sidro” di John Irving, il romanzo della vita della nostra protagonista, Violette, a mezza via tra un’adolescenza allo sbando ed una maturità di equilibri ritrovati, anzi riconquistati. Ed è questa sensazione di rinascita che ha reso "Cambiare l'acqua ai fiori" uno tra i libri più letti nel primo lockdown, arrivato in testa alle classifiche con oltre centinaia di migliaia di copie vendute.

Stempera il dolore con un’ironia arguta che ci strappa alla malinconia e ci riporta al pensiero positivo, rinsalda la fragilità dell'esistenza umana con la preziosità delle connessioni che creiamo lungo il nostro cammino. Ci sprona a non sostare troppo nei ricordi, ad andare avanti nonostante il dolore, per scoprire quanto siano importanti e belle le cose semplici della vita. La cucina, le chiacchiere con gli amici, la bellezza di un fiore, le zucchine che si ingrassano nell’orto. Perché nel racconto di Valérie Perrin c’è pure un ché di ritorno alla natura, una specie di ecologia dell’anima oltre che del corpo (non mangia carne), di simbiosi con la terra, il cielo, il mare, i gatti che la seguono tra le lapidi del piccolo cimitero di provincia. Come già in molti hanno voluto sottolineare, "Cambiare l'acqua ai fiori" è una storia di resilienza, ma anche un manuale d’istruzione per riconnettersi con l'essenziale.

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La protagonista principale è Violette Toussaint (che già dal nome che in francese significa “giorno dei morti” è tutto un programma), una donna di mezza età, figura affascinante e profondamente umana che lavora come guardiana di un cimitero. La sua vita è stata segnata da tragedie laceranti e il suo lavoro le offre ora un approdo sicuro per elaborare il dolore. Violette si prende cura delle tombe dei defunti e, in un modo o nell'altro, custodisce e conserva con umana passione anche le loro storie ed i segreti che hanno portato con sé nella tomba. La sua crescita e la sua rinascita emotiva sono descritte con grande sensibilità, offrendo al lettore una visione intima del suo mondo interiore. La storia al tempo stesso incanta, usando una scrittura che scorre fluida e suona sempre amichevole, mentre l’intreccio dei personaggi, le loro caratterizzazioni intime, le vicende che li uniscono calamitano pagina dopo pagina chi legge, amplificando l’attesa per un finale che ne nasconde altri, visto che ordito e trama sviluppano un intreccio temporale che disegna più storie e che salta tra il presente ed il passato. E Valérie Perrin è davvero brava nel gestire queste variazioni temporali, mantenendo il controllo del timone e la rotta, nonostante i cambiamenti cronologici.

E’ questo un approccio narrativo che aggiunge una dimensione in cui il senso dell’attesa cresce parallelamente al mistero alla storia, permettendo al lettore di scoprire gradualmente i segreti sepolti nel cimitero e nella vita di Violette, una donna sola, dopo che il marito è partito per un viaggio di sola andata. Fino a quando compare alla sua porta un poliziotto di Marsiglia: la madre ha lasciato scritto nelle ultime volontà che le sue ceneri dovranno riposare sulla tomba di un avvocato a lui sconosciuto, sepolto da anni nel cimitero.

"Cambiare l'acqua ai fiori" si sposta nello spazio e nel tempo oltre che tra due mondi, l’essere e il non essere, ed è per questo che la percezione di ciò che racconta credo muti in funzione dell’età di chi lo legge. Non deve sorprendere, in quanto il tema di un’esistenza terrena che prima o poi finisce, si offre a differenti percezioni in base a quanto ognuno di noi senta più o meno lontano il punto di passaggio dalla vita terrena a quella di un mondo fatto di tutto o di nulla, o rispetto a quanto il peso delle perdite subite nella propria esistenza trovi un equilibrio con le rinascite di chi ci ricorderà o ci dimenticherà.

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«Non piangete la mia morte, celebrate la mia vita». In fondo Violette tende una mano ai due mondi, si prende cura dei morti come fa con i vivi, consola e ascolta questi ultimi così come lucida e difende dalle erbacce dell’oblio chi non c’è più, ma è comunque stato. Conosce tutti i nomi sulle tombe, le loro date di nascita e di dipartita, se scorge un sepolcro lasciato all’incuria, se ne prende cura. Violette annota tutto: chi è morto, chi era presente alle esequie, quali sono stati i discorsi e le canzoni dei funerali, le lapidi e gli epitaffi apposti sulla tomba. Violette rappresenta la memoria di coloro che sono scomparsi e, in fondo, pensare che esista qualcuno così ci conforta.

Il libro è una clessidra dove la luce e il buio s’infiltrano uno nell’altro, si perpetuano in questo continuo capovolgimento. “C’è qualcosa più forte della morte, ed è la presenza degli assenti nella memoria dei vivi”. In questo romanzo i nostri ricordi sepolti riemergono con forza, si manifestano senza vergogna e ci rigano il viso e l’anima.