Caino di José Saramago. Una dissacrante rilettura degli eventi biblici da parte del Nobel portoghese

   librijpg

Avvertenza
Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come
 me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.

⭐ Sufficiente - ⭐ ⭐ Più che discreto - ⭐ ⭐ ⭐ Buono
⭐ ⭐ ⭐ ⭐ Ottimo - ⭐ ⭐ ⭐ ⭐ ⭐ Eccellente

La mia valutazione su questo libro:
4 stellajpg

Preferisco chiarirlo subito: questo libro potrebbe risultare indigesto, anche un po' blasfemo, per chi, tra le pieghe della propria fede, non si offre a visioni alternative o minimamente critiche e vive le “scritture” come un postulato. In fondo, Saramago, è un peccatore e non ne fa segreto, nemmeno ci pensa a nascondersi dietro la sua penna che usa come una lama tagliente, anche e soprattutto quando parla di religione o si tira in ballo Dio. Lo fa umanizzandolo, anzi disumanizzandolo, perché il Signore di cui ci narra il Nobel portoghese per la letteratura è tutt’altro che magnanimo, per nulla simpatico e pure poco propenso al perdono, affetto così com’è, e vien quasi da riderne a scriverlo, da un incontenibile delirio di onnipotenza.

Ma è forse questo che Saramago vuole mostrarci nella sua dissacrante rilettura degli eventi biblici che costituiscono l’ossatura del romanzo: non è forse vero che nel libro della Genesi 1,26 leggiamo che al sesto giorno Dio disse: “Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza”? E se è così che supponiamo o crediamo fermamente sia andata, non potrebbe essere allora che qualche difettuccio di cui è malata questa nostra umanità sia stato trasmesso proprio dal Creatore. Tant’è che già qualcosa non funziona sin dal paradiso terrestre di Saramago, nel quale, costola o non costola, tutto ha inizio con un Adamo smarrito, non particolarmente intraprendente, ed una Eva che, invece, la sa lunga sul peccato originale, che poi tanto originale parrebbe non essere visto che pare saper bene come gira il mondo e già ben usa ciò che da Adamo la differenzia, per trarne vantaggio e soddisfazione.

Bene, se queste poche parole che ho utilizzato per introdurre alla lettura di “Caino” vi hanno turbato, irritato, ferito, allora questo libro non fa per voi. Lasciatelo nella vetrina della libreria. Paradossalmente però, per le citazioni storico religiose di questo testo, diventa assai difficile godere appieno della sua lettura se non si possiedono le minime conoscenze, e forse qualcosa di più, della Bibbia e degli eventi che in essa sono descritti. Vi si trovano, infatti, pur con una visione tutt’altro che ortodossa e clericale, gli episodi più significativi della narrazione biblica: la cacciata dall’Eden, le avventure con la divina peccatrice ed insaziabile Lilith, il sacrificio di Isacco, la costruzione della Torre di Babele, la distruzione di Sodoma, i fatti del vitello d’oro, la messa alla prova del povero Giobbe, sino alla perigliosa navigazione dell’arca di Noè e del diluvio universale.

Saramago ci casca ancora, e lo fa a vent’anni di distanza dal suo “Vangelo secondo Gesù Cristo” in cui ci offriva una rielaborazione del Nuovo Testamento che scandalizzò il clero cattolico portoghese e italiano. Lo fa, questa volta, reinterpretando l’Antico Testamento e adottando quale narratore errante in groppa ad somaro, nello spazio e nel tempo degli eventi raccontati il personaggio negativo per antonomasia: Caino. Ma tutto appare sottosopra e il fratricida si trova a rivestire un ruolo talmente umano, nel bene e nel male che lo circondano, che quasi gli si perdona il peccato capitale che lo ha marchiato e che, a tratti, pare una distrazione innanzi ad un dio talmente malvagio, ingiusto, invidioso e forse annoiato che, non sapendo veramente ciò che vuole, se la prende con gli uomini (donne, vecchi e bambini inclusi) incenerendoli, trasformandoli in sale o riempiendoli di piaghe, dispettoso e permaloso quasi come un adolescente arrogante dinanzi ad un formicaio. Un arrogante che lo stesso Caino riprende a più riprese, facendogli addirittura pesare la colpa di esser stato lui, in fondo, per i suoi capricci di supereroe, a mettere zizzania in famiglia, a spingerlo ai uccidere il fratello. Ma non serve a nulla perché “la morte è vietata agli dèi anche se dovrebbero farsi carico di tutti crimini commessi in loro nome o per causa loro”.

saramagojpg

Ammetto che, affrontando la lettura nel modo e con lo spirito giusto, ci si diverte un mondo. Soprattutto quando è il viaggiatore Caino a farci notare che le cose potrebbero non essere come per millenni sono state raccontate: non ha eguali la scena in cui Abramo sta per sacrificare il figlio Isacco, con l’angelo che giunge in ritardo e le domande assillanti di un figlio che, scampato alla morte, con inoppugnabile logica infantile instilla nel padre i dubbi sulla sua fede.

Anche se forse l’intento non è tanto di strapparci un sorriso, ma di farci riflettere. Non a caso Saramago, che esaspera in “Caino” il suo stile di scrittura caratterizzato dalla mancanza dei segni di punteggiatura e da periodi quasi da apnea, sceglie qui di non usare mai la maiuscola per i nomi propri. Non solo, nel raccontare egli s’impiccia, si fa riconoscere con virtuosismi da prima persona, spiegazioni su scelte lessicali e di percorso, valutazioni personali. Ed è forse per questo che alimenta il lettore con un ritmo serrato, intenso, con quell’ironia arguta e sottile, con i toni canzonatori e provocanti nei quali è forte la figura di un dio sterminatore, non indulgente, che scommette con il diavolo quasi fosse un vecchio amico (interessante il parallelismo con la scena della barca nel “Vangelo secondo Gesù Cristo”).

Senza svelare l’essenza del racconto con un odioso riassunto dei fatti, mi basta sottolineare che in questo romanzo c’è un Saramago che ci mette in guardia dai dogmi religiosi, dall’integralismo intransigente, da qualunque parte esso provenga. C'è una palese insofferenza all’autoritarismo religioso, una critica alle regole di un ordine in cui al tanto professato libero arbitrio si risponde con una condanna della libertà di essere solo ciò che si vuole essere. C’è la visione di una santa apocalisse in cui interi popoli sono e possono essere sterminati in nome di una fede.

In questo capovolgimento di ruoli, nella presa di coscienza di un Caino che non si fa più scrupoli nel canzonare la divinità suprema, così pure di accreditarlo al ruolo di stragista celeste in nome di un superiorità immeritata, c’è spazio anche per la resa finale. Tra i flutti di un diluvio, progettato ad arte per lo sterminio dell’umanità, tra animali sballottati dai frutti e la promiscua famiglia di Noè destinata al ripopolamento dello zoo umano, Caino interpreta alla perfezione le antiche scritture e porta a compimento la sua azione di disturbo ai piani del creatore, fedele al motto “se uno farà una lesione al suo prossimo, si farà a lui come egli ha fatto all'altro, frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente”.
e inoltre: