Andare a teatro con Goldoni: La locandiera. Dal cartellone veneziano del 1752 con ironia pungente

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Avvertenza
Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come
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La mia valutazione su questo libro:
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la mia valutazione del visto a teatro:
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A premessa indispensabile mi corre l’obbligo con chi mi legge d’esprimere il mio pensiero generale su un testo teatrale: in quanto tale non lo si gode veramente e non ne si coglie spirito ed essenza se non lo si va a vedere a teatro, palco per il quale esso è stato concepito. Che poi è anche il modo migliore per dar soddisfazione e gaudio a chi lo ha prima immaginato e poi steso sulla carta e che credo sarebbe apprezzato dallo stesso Goldoni, nato in quel di Venezia nel 1707, di cui oggi mi appresto a parlare.

Deggio avvisarvi, Lettor carissimo, di una picciola mutazione, che alla presente Commedia ho fatto. Fabrizio, il cameriere della Locanda, parlava in veneziano, quando si recitò la prima volta; l'ho fatto allora per comodo del personaggio, solito a favellar da Brighella; ove l'ho convertito in toscano, sendo disdicevole cosa introdurre senza necessità in una Commedia un linguaggio straniero. Ciò ho voluto avvertire, perché non so come la stamperà il Bettinelli; può essere ch'ei si serva di questo mio originale, e Dio lo voglia, perché almeno sarà a dover penneggiato. Ma lo scrupolo ch'ei si è fatto di stampare le cose mie come io le ho abbozzate, lo farà trascurare anche questa comodità”. (La locandiera / Carlo Goldoni ; a cura di Giovanni Antonucci. - Roma : Tascabili Economici Newton, 1993).

Splendido, in questa sua precisazione sulla lingua (visto che le vicende in quel di Firenze si svolgono), il veneziano Carlo Goldoni che con “La Locandiera”, a detta di chi di teatro se ne intende, riesce a dare vita ad uno dei lavori di scrittura di stile “goldoniano” certamente tra i più riusciti e dai tratti fortemente innovativi. Parliamo di una commedia in tre atti composta nel 1751, frutto della collaborazione tra il commediografo lagunare ed il teatro Sant’Angelo, messa in scena prima della stagione carnevalesca del 1752 e contemporanea anche per l’ambientazione in cui si svolgono i fatti. Vicende che scivolano su un piano temporale in linea retta, senza salti cronologici, condensate in poco più che in un doppio giro di lancette d’orologio, recitate in prosa in uno stile fluido in cui si fa ricorso al comune discorrere, punteggiato da inflessioni toscane che danno all’insieme una pennellata di colore.

La storia è talmente nota che anche a citarla in sintesi è assai limitato il rischio del famigerato “fare spoiler” che Goldoni avrebbe forse tradotto con un “sacagnar” la mia commedia. Difficile da farsi, ancor più per la maestria con cui l’autore sa sorprenderci in modo inaspettato quando pare tutto deciso. Al centro della storia c’è la bella locandiera Mirandolina che, in quanto tale, è corteggiata da due nobili signori: il conte d’Albafiorita e il marchese di Forlipopoli. Il primo, che può contare sulla sua posizione economicamente stabile, si spende in regali tanto vistosi quanto costosi, mentre il secondo, parte di quella schiera di nobili decaduti cui resta solo un titolo con cui farsi aria, fa grandi promesse su di un futuro tranquillo e sicuro. Nessuno però ha fatto i conti con il cameriere della locanda, tal Fabrizio, innamorato di Mirandolina e uomo da maritare secondo il di lei padre che, prima di morire, lo raccomandò come il buon partito. A scompigliare le carte, in quello stile che contraddistingue l’ingegno narrativo di Goldoni, c’è pure il misogino cavalier di Ripafratta che paventa una sorta di immunità, di quasi repulsione, alla bellezza ed al fascino femminile.

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CONTE: Il signor Marchese ama la nostra locandiera. Io l'amo ancor più di lui. Egli pretende corrispondenza, come un tributo alla sua nobiltà. Io la spero, come una ricompensa alle mie attenzioni. Pare a voi che la questione non sia ridicola?
MARCHESE: Bisogna sapere con quanto impegno io la proteggo.
CONTE: Egli la protegge, ed io spendo. (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: In verità non si può contendere per ragione alcuna che io meriti meno. Una donna vi altera? vi scompone? Una donna? che cosa mai mi convien sentire? Una donna? Io certamente non vi è pericolo che per le donne abbia che dir con nessuno. Non le ho
mai amate, non le ho mai stimate, e ho sempre creduto che sia la donna per l'uomo una infermità insopportabile.

Gli interpreti marcano la scena e ne divengono protagonisti, rompendo quello stile delle “maschere” fisse della Commedia dell’Arte in voga all’epoca in cui attore e personaggio erano quasi un soggetto indivisibile, molto lontano dalla visione di un attore flessibile e capace di vestire i panni di più personaggi a seconda della commedia, adattandosi ad una recitazione nuova ogni volta. “La locandiera” è un buon esempio di come Goldoni entra a gamba tesa sulla tradizione della Commedia dell’Arte, un’eredità ingombrante per lui, oggetto quindi di una singolar tenzone tra l’autore e la tradizione che darà vita ad un acceso dibattito intellettuale su obiettivi e schemi rappresentativi del teatro.

Qui Goldoni affida la sua critica a Ortensia e Dejanira che arrivano alla locanda di Mirandolina sotto le false vesti di due nobili dame e che vengono sin da subito sgamate in quanto, pur essendo due attrici, esse recitano piuttosto male. Le due donne incarnano il ruolo dello stereotipato attore della Commedia dell’Arte, maschera ripetitiva senza copione, la cui improvvisazione da canovaccio spingeva però a recitare sempre solo la stessa parte in ogni opera. A far da contraltare a tutto ciò ecco svettare la caratterizzazione della giovane locandiera, cui Goldoni affida un testo scritto che la individua per quel che essa è nella realtà immaginata e che deve essere nella sua commedia, espressione quindi di un teatro realistico che vuole portare sulla scena il mondo vero, prendendo le distanze da quella comicità seicentesca che dava al teatro l’unico ruolo di scacciapensieri.

Nell’Illuminismo vissuto da questo autore, egli scatta una fotografia fedele, anche nelle sue contraddizioni, della società dell’epoca e la modella con personaggi che incarnano, anche nei testi, i ceti sociali rappresentativi, usando persino gli oggetti di scena alla stregua di evidenziatori di un preciso ruolo nella società. Non si può non cogliere la critica all’aristocrazia veneziana, ad una nobiltà che sbiadisce e si genuflette al potere economico che, senza troppi rimpianti, accresce una nuova borghesia. Mirandolina è una fanciulla intelligente e determinata, consapevole delle sue virtù e nel suo ruolo di locandiera ha come primo interesse il profitto della sua attività ed è con questo obiettivo che si disimpegna con stile dalle insistenze ed allusioni del Conte e del Marchese. Lo fa con efficacia, vestendo alla perfezione i panni di una sorta di dottor Jekyll e signor Hyde al femminile, sdoppiandosi tra l’azione e la premeditazione delle battute, tra il modo garbato di porsi ai suoi ospiti e quella sua quasi volgarità nel pensiero che manifesta le sue vere intenzioni, tra il dialogo che permea l’azione e il monologo che da carattere a storia e personaggi.

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A far da sfondo alle vicenda di questa “Locandiera” c’è comunque l’amore, o meglio un bugiardino che mette in guardia dall’uso e dall’abuso di un sentimento di cui Goldoni vuole vittima il genere maschile (qui ingenuo e servile, ma non troppo nel suo retropensiero), quasi fosse una medicina di cui l’uomo non può fare a meno, ma i cui effetti collaterali talvolta superano i benefici. Lo fa rimarcando uno stereotipo femminile che con l’amore gioca per i propri scopi, che ricorre all’inganno per i propri interessi personali, che usa la seduzione per raggiungere un obiettivo, che mostra la superfluità dell’amore materiale, ma anche dando forza all’immagine di una donna che punta a rivendicare una sua autonomia nel decidere cosa fare della propria vita e del proprio essere. Alla faccia della Commedia dell’Arte!

Di questa edizione:  La locandiera / Carlo Goldoni ; a cura di Giovanni Antonucci. - Roma : Tascabili Economici Newton, 1993. - 93 p. ; 20 cm. - (Centopaginemillelire 71)
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