A muso duro innanzi alla propaganda di potere. "Intervista con la storia" di Oriana Fallaci

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Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come
 me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.

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La mia valutazione su questo libro:
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Ogni tanto c’è necessità di rispolverare un libro già letto nel passato, magari per rifare mente locale su ciò che è già accaduto e che, ancora oggi, influenza il nostro presente. E’ il caso di questo “Intervista con la storia” di Oriana Fallaci (Rizzoli, 1974, successivamente ristampato ed arricchito in numerose edizioni sino ai giorni nostri), che è qualcosa di più di semplice saggio sui potenti della terra di quell’epoca: è un raffinato esercizio di quel giornalismo di contatto fatto su campo, un testo di riferimento per chi ama la geopolitica, un compendio storico su eventi che hanno cambiato la percezione del mondo e un condensato di relazioni umane che non ha eguali.

Come e perché Oriana Fallaci sia diventata nel corso della sua carriera la giornalista italiana più influente e controversa del XX secolo lo si comprende bene in questo lavoro, in cui ella condensa ed esprime una condanna senza appello all’assolutismo politico, al culto della personalità finalizzata al potere di vita o di morte, allo stato in cui a governare sono le armi. Usa qui le lente di ingrandimento dell’intervista, del faccia a faccia, del “botta e risposta” per indagare su quegli accadimenti della storia dell’umanità, eventi che si ripetono tristemente con una ciclicità da far paura, nei quali in tanti subiscono le persecuzioni di pochi, periscono nel degrado della dignità e del corpo attraverso scelte dei potenti di turno, sopportano il peso immane del delirio di onnipotenza chi chi si è autoconvinto di agire per volontà divina.

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Il volume raccoglie diciotto interviste che la Fallaci realizzò all’inizio degli anni Settanta, introducendo ogni “personalità” (prima edizione del 1974, le edizioni successive ampliano il numero delle interviste). Ogni intervista è anticipata da un brevissimo excursus teso ad illustrare un contesto geopolitico e sociale, condito da un riassunto sull'esperienza dell’incontro che, pur non nascondendo mai la personale impressione della Fallaci giornalista, donna ed essere umano, non vuole però imporci il suo giudizio, ma solo predisporci alle domande, certamente non sempre comode o neutrali, così come alle risposte dei suoi interlocutori, su cui ci è chiesto di riflettere con grande attenzione. Va da sé che, nel corso della lettura, non schierarsi risulta difficile.

Cronista di guerra, abituata a scavare nelle notizie, la giornalista Fallaci ha coraggio da vendere. Si è temprata al fronte, più d’uno. Nel 1967 divenne la prima corrispondente di guerra donna e da allora ha viaggiato in Vietnam dodici volte in ben sette anni firmando per L'Europeo. E ora è decisa a voler rendere quella raffica di pallottole che l’avevano raggiunta durante la cronaca della repressione militare in Sudamerica attraverso la sua penna. Lei colpisce con le parole e con i punti interrogativi che pone alla fine delle domande. Ci porta dentro il grande conflitto del Vietnam con le interviste all’americano Henry Kissinger, il grande burattinaio della diplomazia a stelle e strisce ancora in doppiopetto imperialista; a Nguen Van Thieu ed al generale Giap, gli opposti del Vietnam bipolare e diviso tra nord e sud; senza dimenticare il quarto giocatore al tavolo delle carte, il cambogiano Norodom Sihanuk, a completare il banco in cui le puntate, all’epoca, costavano centinaia di vite ogni giorno. Da sottolineare che, nel corso della sua carriera, la Fallaci è stata tanto critica nei confronti dell'invasione statunitense, quanto sulle azioni poste in essere dal Fronte Nazionale per la Liberazione dei Vietcong.

A rileggerlo oggi “Intervista con la storia”, in questo inizio di 2024, sembra di grande attualità e ci riporta alle origini del conflitto arabo palestinese israeliano attraverso le interviste a personaggi intransigenti come Golda Meir e Yassir Arafat, ma anche e soprattutto al capo del Fronte Palestinese, George Habash, regista del terrorismo palestinese internazionale di quegli anni, caratterizzato da attentati in aeroporti e dirottamenti. Non manca, anche in questo scacchiere mediorientale, un quarto giocatore a cui di carte ne sono rimaste poche: re Hussein di Giordania. Oriana Fallaci ci offre in tal modo una spettacolare ed unica visione panoramica, ci permette di farci un’idea, di elaborare un pensiero. Non perde mai la sua lucidità nel porre le domande, governa le risposte, ribatte, non si lascia sedurre dalla diplomazia, tantomeno dall’autorità o dalla notorietà di chi le sta di fronte. Non finge di esserlo quando ne è infastidita. Gioca abilmente con il suo sapere, con la conoscenza dei fatti, obbligando talvolta due intervistati allo stesso tavolo da gioco ad un confronto a distanza di cui lei è la regista occulta. Sorprende, nella lettura, che talvolta emerga prepotente, nonostante un giudizio morale già scritto nelle idee che la Fallaci non ha mai nascosto attraverso i sui articoli o i suoi libri, il desiderio di non accontentarsi di ciò che già si conosce, ma di voler comprendere ancora meglio i fatti e le motivazioni che stanno alla base degli eventi, ancor più quando quei fatti trovano il loro humus nel desiderio di potere dell’uomo.

C’è, in questo libro, anche un grande spazio fisico che corre dalle sponde del Mediterraneo sino al subcontinente indiano, passando per la Persia. Lo si percepisce quando l’autrice affronta Indira Gandhi (lasciandoci anche scoprire che il cognome non la imparenta al Mahatma, pur essendo stata molto vicina allo stesso, essendo lei la figlia di Paṇḍit Jawaharlal Nehru) e il pakistano Alì Bhutto, poli opposti del conflitto fratricida tra India, Pakistan e Bangladesh. Qui domande e risposte ci illuminano su quanto la religione possa offrire un pretesto per influenzare pesantemente la vita di milioni di persone, rendendole sacrificabili, immolabili quasi sull’altare di un dio che, ancora una volta, si chiama “potere”. E in questo scenario a tinte fosche, ancora una volta emerge l’umanità della Fallaci che, pur severamente critica innanzi a posizioni radicali e illogiche dei leader con cui parla, non nasconde, se accade, i sentimenti di simpatia verso la persona spogliata dal ruolo che impersona e riletta in quello familiare, affettivo, umano.

Ed è in tal modo che ci passano innanzi Bandaranaike, Willy Brandt (quasi a immaginare ciò che poi sarebbe accaduto con il muro di Berlino), Helder Camara, il greco Panagulis, con un posticino anche per due indimenticabili protagonisti della politica italiana: Pietro Nenni e Giovanni Leone.

Sull’edizione del 1977 di questo libro (BUR) va aperta una parentesi e nemmeno tanto piccola. Innanzi tutto perché alle interviste già presenti nell’edizione di prima mano si aggiungono una decina di nuovi ritratti, interessanti personalità della scena internazionale: Giulio Andreotti (e solo questa intervista è tutto un programma), Giorgio Amendola, l’Arcivescovo Makarios, William Colby, il capo della CIA, e il suo antagonista storico Otis Pike che fu capo pure lui, ma di una commissione d'inchiesta chiamata ad investigare proprio sull'operato della CIA. E poi Santiago Carrillo politico e scrittore spagnolo, segretario del Partito Comunista di Spagna (PCE) dal 1960 al 1982); l portoghesi Alvaro Cunhal e Mario Soares, protagonisti politici del paese lusitano; lo sceicco Ahmed Zaki Yamani importante pilastro per un quarto di secolo dell’OPEC, oltre che Ministro del Petrolio e delle risorse minerarie dell’Arabia Saudita dal 1962 al 1986 .

Come molti dei grandi personaggi e protagonisti della storia intervistati dalla Fallaci, anche Yamani fu combattuto tra il farsi intervistare da una giornalista di quel calibro e che non faceva certo segreto delle sue idee ed il rifiutare perentoriamente il faccia a faccia, o sarebbe meglio dire il botta e risposta. Dopo averci riflettuto, tuttavia, egli invitò la Fallaci a casa sua, a Gedda, ricevendola con grande cortesia e presentandole anche la moglie Taman e le sue figlie. “Volevate il denaro e l'avete avuto: rovinandoci. Ma dove finiscono quelle migliaia di miliardi? Dove? Io vedo molti orologi d'oro nelle vostre vetrine e accendini d'oro, anelli d'oro, vedo grosse automobili per le vostre strade, ma non vedo case, non vedo vere città.” Il tono non è quello di un’intervista facile, ma ancora una volta Oriana Fallaci, pur cercando di sottolineare una posizione distante dal potere che vuole decidere per tutti gli altri, ottiene dal suo interlocutore un quadro completo e organico della situazione petrolifera dell'epoca, che già anticipava scenari futuri con una chiara la strategia dell'Arabia Saudita negli anni a venire.

La Fallaci, in prefazione della nuova edizione del suo libro è molto chiara nell’ammettere che “con gli anni, il giudizio su un incontro o su un personaggio si allarga e si approfondisce”, ma è altrettanto lapidaria nell’affermare che si fosse fatta prendere dalla tentazione di commentarli con la visuale del tempo essi avrebbero perduto il loro valore “di documenti cristallizzati nell’attimo in cui li vissi e li presentai”. Fa eccezione la sola introduzione all’intervista con Alexandros Panagulis, non tanto, specifica l’autrice, perche Alekos (moderno eroe e mito del rivoluzionario ellenico) fu compagno di vita di Oriana, quanto perché ella ritiene importante far sapere ai lettori cosa accadde di lui e denunciare con forza il potere: Panagulis, protagonista anche del romanzo “Un uomo”, morì nel 1976 in circostanze poco chiare in un misterioso incidente stradale, mentre stava indagando sui rapporti segreti intrattenuti da alcuni membri del governo con i militari del regime.

In alcuni casi, va sottolineato, le domande sono di gran lunga più interessanti delle risposte, soprattutto quando rivolte a personaggi cui il potere, è proprio il caso di dirlo, ha “dato alla testa”. Cito un Ailè Selassiè che risponde alla Fallaci come se fosse uno dei profeti mandati sulla terra dal Signore per rendere felici gli uomini del loro gretto destino ed un tristissimo e sospettoso Mohammad Reza Pahalavi le cui risposte, anche a chi di storia o geopolitica sa poco, già davano l’idea del destino cui la Persia, il rubinetto americano del petrolio, sarebbe andata incontro con la rivoluzione khomeinista.

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Pochi giornalisti italiani vantano la capacità di Oriana Fallaci di porsi a muso duro innanzi alla propaganda di potere. Pochi hanno saputo gestire in modo così abile la capacità di essere insidiosi, irriverenti, a tratti irrispettosi, ma al contempo di costruirsi l’immagine di donna e professionista autorevole e colta, al punto da essere richiesta dagli stessi potenti della terra che ha intervistato. Un paradosso che esonda copiosamente dalle pagine di questo “Intervista con la storia”. Un libro che va letto per capire quanto sia mutato oggi il rapporto della stampa con il potere nell’epoca dell’intelligenza artificiale e dei social. E di quanto sarebbe illuminante poter leggere oggi le interviste di Oriana in presa diretta fatte a Putin, Zełenski, Netanyahu, Yahya Sinwar, Biden, Trump, Kim Jong-il.  

Il messaggio nascosto tra le righe di “Intervista con la storia” è conoscere, pensare, riflettere e, se necessario, disubbidire alla legge del silenzio, opporsi al consenso di ogni monocrazia che vieta il pensiero razionale. Senza per questo abbandonarsi al caos o fare ricorso ad una società anarchica priva di governo, ma guardando alla nostra storia per non replicare gli errori già fatti e dare spazio alla ragione, unica arma efficace contro ogni forma di dispotismo.