⭐ Sufficiente⭐ ⭐ Più che discreto⭐ ⭐ ⭐ Buono⭐ ⭐ ⭐ ⭐ Ottimo⭐ ⭐ ⭐ ⭐ ⭐ EccellenteLa mia valutazione su questo libro:James A. Michener è certamente uno scrittore prolifico, e ciò può essere sia un bene che un male. Nel 1963 pubblica Carovane, romanzo ambientato nell’Afghanistan immediatamente successivo alla Seconda guerra mondiale. Il protagonista, Mark Miller, funzionario dell’ambasciata americana a Kabul, riceve l’incarico di ritrovare Ellen Jasper, una giovane connazionale scomparsa dopo aver sposato un ingegnere afghano. La trama si snoda come un viaggio — fisico e simbolico — attraverso un Paese che Michener descrive con dovizia di dettagli. Nonostante ciò, chi legge non può fare a meno di percepire una certa distanza culturale. Il romanzo è costruito come un diario di scoperta, dove l’Afghanistan diventa teatro di contrasti: libertà e oppressione, bellezza e barbarie, spiritualità e violenza.Michener, noto per i suoi affreschi storici e geografici, qui si confronta con una terra che però dà l’idea di non conoscere fino in fondo. E si sente. La scrittura è fluida, il ritmo avventuroso, ma la profondità psicologica dei personaggi — soprattutto di quelli afghani — è spesso sacrificata a favore di una narrazione che privilegia l’alterità. Ellen Jasper, la donna scomparsa, è più simbolo che persona: incarna il desiderio di libertà, ma anche l’incomprensibilità dell’altro. Il protagonista americano è il mediatore, il risolutore, colui che comprende ciò che gli afghani non riescono a dire. C’è un sentore di colonialismo marcescente che ristagna nell’aria, e ciò rischia di farci storcere il naso. Ma è altrettanto vero che un lettore saggio deve retrocedere al dopoguerra — periodo in cui l’autore ha partorito il libro — e non confrontarsi con il pensiero attuale. Se non lo facesse, subirebbe una narrazione intrisa di un senso di missione occidentale, che oggi ci appare non solo datato, ma macchiato di quel peccato originale che vorrebbe farci credere che le democrazie si esportano. Afghanistan docet: le democrazie non si impiantano con i droni.Ma allora dove sta la forza di Carovane? Sta nella sua capacità di evocare paesaggi, atmosfere, tensioni. Scenografie d’altri tempi, quelli di un Paese uscito da poco dal ruolo di colonia britannica. Michener ha una “empatia per il selvaggio e il libero”, come scrisse il New York Herald Tribune, e questo si riflette nella descrizione delle carovane, dei deserti, dei villaggi remoti. Tutto ciò, in fondo, ci affascina tanto quanto i racconti di salgariana memoria. Forse è il motivo per cui, all’epoca della pubblicazione, Carovane fu accolto con favore: “una storia d’avventura avvincente”, scrisse il Chicago Tribune. Nel 1978 ne fu tratto un film con Anthony Quinn, che accentuava ulteriormente l’aspetto esotico e drammatico della vicenda. Ma questa empatia per l’avventura in terre lontane va dosata con cautela, altrimenti rischia di scivolare nel romanticismo geopolitico, e l’Afghanistan diventa un luogo da decifrare, da salvare, da raccontare — ma raramente da ascoltare.Va letto perché è un romanzo che può ancora offrire le suggestioni del tempo che fu, soprattutto a chi cerca una narrazione avventurosa in un contesto poco esplorato dalla letteratura occidentale. Lascia tuttavia un senso di incompiutezza. Quasi che Michener lo racconti “da fuori”, con il filtro di chi osserva ma non sempre comprende. Con una lente che oggi appare ingombrante, talvolta paternalistica. Ci affascina per ambientazione e ritmo, ma ci abbandona — letto oggi — in una terra di mezzo tra avventura e stereotipo.Caravans è un film del 1978 diretto da James Fargo, basato sul romanzo di James A. Michener. Il film è stato girato in Iran (prima della Rivoluzione iraniana) ed è interpretato da Anthony Quinn, Jennifer O'Neill e Michael Sarrazin. Curiosità: la storia è ambientata in un immaginario paese mediorientale, chiamato Zakharstan nel 1948. Il film non ha incontrato il favore della critica e tantomeno quello del pubblico che non lo ha premiato al botteghino.


Avvertenza
Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.
⭐ Sufficiente
⭐ ⭐ Più che discreto
⭐ ⭐ ⭐ Buono
⭐ ⭐ ⭐ ⭐ Ottimo
⭐ ⭐ ⭐ ⭐ ⭐ Eccellente
La mia valutazione su questo libro:
James A. Michener è certamente uno scrittore prolifico, e ciò può essere sia un bene che un male. Nel 1963 pubblica Carovane, romanzo ambientato nell’Afghanistan immediatamente successivo alla Seconda guerra mondiale. Il protagonista, Mark Miller, funzionario dell’ambasciata americana a Kabul, riceve l’incarico di ritrovare Ellen Jasper, una giovane connazionale scomparsa dopo aver sposato un ingegnere afghano. La trama si snoda come un viaggio — fisico e simbolico — attraverso un Paese che Michener descrive con dovizia di dettagli. Nonostante ciò, chi legge non può fare a meno di percepire una certa distanza culturale. Il romanzo è costruito come un diario di scoperta, dove l’Afghanistan diventa teatro di contrasti: libertà e oppressione, bellezza e barbarie, spiritualità e violenza.Michener, noto per i suoi affreschi storici e geografici, qui si confronta con una terra che però dà l’idea di non conoscere fino in fondo. E si sente. La scrittura è fluida, il ritmo avventuroso, ma la profondità psicologica dei personaggi — soprattutto di quelli afghani — è spesso sacrificata a favore di una narrazione che privilegia l’alterità. Ellen Jasper, la donna scomparsa, è più simbolo che persona: incarna il desiderio di libertà, ma anche l’incomprensibilità dell’altro. Il protagonista americano è il mediatore, il risolutore, colui che comprende ciò che gli afghani non riescono a dire. C’è un sentore di colonialismo marcescente che ristagna nell’aria, e ciò rischia di farci storcere il naso. Ma è altrettanto vero che un lettore saggio deve retrocedere al dopoguerra — periodo in cui l’autore ha partorito il libro — e non confrontarsi con il pensiero attuale. Se non lo facesse, subirebbe una narrazione intrisa di un senso di missione occidentale, che oggi ci appare non solo datato, ma macchiato di quel peccato originale che vorrebbe farci credere che le democrazie si esportano. Afghanistan docet: le democrazie non si impiantano con i droni.Ma allora dove sta la forza di Carovane? Sta nella sua capacità di evocare paesaggi, atmosfere, tensioni. Scenografie d’altri tempi, quelli di un Paese uscito da poco dal ruolo di colonia britannica. Michener ha una “empatia per il selvaggio e il libero”, come scrisse il New York Herald Tribune, e questo si riflette nella descrizione delle carovane, dei deserti, dei villaggi remoti. Tutto ciò, in fondo, ci affascina tanto quanto i racconti di salgariana memoria. Forse è il motivo per cui, all’epoca della pubblicazione, Carovane fu accolto con favore: “una storia d’avventura avvincente”, scrisse il Chicago Tribune. Nel 1978 ne fu tratto un film con Anthony Quinn, che accentuava ulteriormente l’aspetto esotico e drammatico della vicenda. Ma questa empatia per l’avventura in terre lontane va dosata con cautela, altrimenti rischia di scivolare nel romanticismo geopolitico, e l’Afghanistan diventa un luogo da decifrare, da salvare, da raccontare — ma raramente da ascoltare.Va letto perché è un romanzo che può ancora offrire le suggestioni del tempo che fu, soprattutto a chi cerca una narrazione avventurosa in un contesto poco esplorato dalla letteratura occidentale. Lascia tuttavia un senso di incompiutezza. Quasi che Michener lo racconti “da fuori”, con il filtro di chi osserva ma non sempre comprende. Con una lente che oggi appare ingombrante, talvolta paternalistica. Ci affascina per ambientazione e ritmo, ma ci abbandona — letto oggi — in una terra di mezzo tra avventura e stereotipo.Caravans è un film del 1978 diretto da James Fargo, basato sul romanzo di James A. Michener. Il film è stato girato in Iran (prima della Rivoluzione iraniana) ed è interpretato da Anthony Quinn, Jennifer O'Neill e Michael Sarrazin. Curiosità: la storia è ambientata in un immaginario paese mediorientale, chiamato Zakharstan nel 1948. Il film non ha incontrato il favore della critica e tantomeno quello del pubblico che non lo ha premiato al botteghino.


⭐ Sufficiente⭐ ⭐ Più che discreto⭐ ⭐ ⭐ Buono⭐ ⭐ ⭐ ⭐ Ottimo⭐ ⭐ ⭐ ⭐ ⭐ EccellenteLa mia valutazione su questo libro:
James A. Michener è certamente uno scrittore prolifico, e ciò può essere sia un bene che un male. Nel 1963 pubblica Carovane, romanzo ambientato nell’Afghanistan immediatamente successivo alla Seconda guerra mondiale. Il protagonista, Mark Miller, funzionario dell’ambasciata americana a Kabul, riceve l’incarico di ritrovare Ellen Jasper, una giovane connazionale scomparsa dopo aver sposato un ingegnere afghano. La trama si snoda come un viaggio — fisico e simbolico — attraverso un Paese che Michener descrive con dovizia di dettagli. Nonostante ciò, chi legge non può fare a meno di percepire una certa distanza culturale. Il romanzo è costruito come un diario di scoperta, dove l’Afghanistan diventa teatro di contrasti: libertà e oppressione, bellezza e barbarie, spiritualità e violenza.
Michener, noto per i suoi affreschi storici e geografici, qui si confronta con una terra che però dà l’idea di non conoscere fino in fondo. E si sente. La scrittura è fluida, il ritmo avventuroso, ma la profondità psicologica dei personaggi — soprattutto di quelli afghani — è spesso sacrificata a favore di una narrazione che privilegia l’alterità. Ellen Jasper, la donna scomparsa, è più simbolo che persona: incarna il desiderio di libertà, ma anche l’incomprensibilità dell’altro. Il protagonista americano è il mediatore, il risolutore, colui che comprende ciò che gli afghani non riescono a dire. C’è un sentore di colonialismo marcescente che ristagna nell’aria, e ciò rischia di farci storcere il naso. Ma è altrettanto vero che un lettore saggio deve retrocedere al dopoguerra — periodo in cui l’autore ha partorito il libro — e non confrontarsi con il pensiero attuale. Se non lo facesse, subirebbe una narrazione intrisa di un senso di missione occidentale, che oggi ci appare non solo datato, ma macchiato di quel peccato originale che vorrebbe farci credere che le democrazie si esportano. Afghanistan docet: le democrazie non si impiantano con i droni.
Ma allora dove sta la forza di Carovane? Sta nella sua capacità di evocare paesaggi, atmosfere, tensioni. Scenografie d’altri tempi, quelli di un Paese uscito da poco dal ruolo di colonia britannica. Michener ha una “empatia per il selvaggio e il libero”, come scrisse il New York Herald Tribune, e questo si riflette nella descrizione delle carovane, dei deserti, dei villaggi remoti. Tutto ciò, in fondo, ci affascina tanto quanto i racconti di salgariana memoria. Forse è il motivo per cui, all’epoca della pubblicazione, Carovane fu accolto con favore: “una storia d’avventura avvincente”, scrisse il Chicago Tribune. Nel 1978 ne fu tratto un film con Anthony Quinn, che accentuava ulteriormente l’aspetto esotico e drammatico della vicenda. Ma questa empatia per l’avventura in terre lontane va dosata con cautela, altrimenti rischia di scivolare nel romanticismo geopolitico, e l’Afghanistan diventa un luogo da decifrare, da salvare, da raccontare — ma raramente da ascoltare.
Va letto perché è un romanzo che può ancora offrire le suggestioni del tempo che fu, soprattutto a chi cerca una narrazione avventurosa in un contesto poco esplorato dalla letteratura occidentale. Lascia tuttavia un senso di incompiutezza. Quasi che Michener lo racconti “da fuori”, con il filtro di chi osserva ma non sempre comprende. Con una lente che oggi appare ingombrante, talvolta paternalistica. Ci affascina per ambientazione e ritmo, ma ci abbandona — letto oggi — in una terra di mezzo tra avventura e stereotipo.
Dal libro al film
Caravans è un film del 1978 diretto da James Fargo, basato sul romanzo di James A. Michener. Il film è stato girato in Iran (prima della Rivoluzione iraniana) ed è interpretato da Anthony Quinn, Jennifer O'Neill e Michael Sarrazin. Curiosità: la storia è ambientata in un immaginario paese mediorientale, chiamato Zakharstan nel 1948. Il film non ha incontrato il favore della critica e tantomeno quello del pubblico che non lo ha premiato al botteghino.




