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© 2025 Marco Nundini
molte immagini sono fornite da Pixabay.com - AR
via di fuga per pensatori clandestini

Ospito volentieri in questo spazio quanto elaborato da una congrega di amici, un "cenacolo" appunto, di anime perdute tra filosofia e scienza, tra arte e materialismo. Il loro antropologico diritto a disquisir d'ogni cosa mi affascina e mi colpisce profondamente, a partir dall'uso che essi fanno del pensiero e delle parole e che si concretizza in una newsletter che chissà se mai qualcuno leggerà (ma ciò a loro poco importa) e che chiunque potrà ritrovare, leggere, consultare o scaricare in questa pagina. A loro, i cui nomi celano sotto evocativi pseudonimi d'altri tempi e d'altre arti, fortuna e gloria.
Tratto dall'Uscita di Sicurezza 1
L'epoca del non avere mai tempo, e per colpa di cosa o chi lo sappiamo, si attorciglia al nostro collo e ci soffoca. Lentamente, ma ci toglie il respiro. Siamo adepti di una nuova Chiesa: idolatriamo la produttività, cantiamo lodi alla velocità, preghiamo per l'efficienza. Ogni nostro gesto, ogni parola, ogni pensiero sembrano dover essere finalizzati ad uno scopo misurabile, utile, spendibile.
Siamo esseri intelligenti (chissà se lo pensa anche il nostro cane) eppure abbiamo dimenticato che esiste una forma più sottile e profonda di intelligenza, "una zona franca dello spirito ", che rivendica il suo spazio con disarmante leggerezza: è il diritto di cazzeggiare.
Attenzione però: non è chiacchiera vuota od ozio sterile, bensì è quella libertà preziosa che ci consente di filosofeggiare tra persone affini, colte, curiose. Quello spazio multidimensionale in cui divagare con passione su ciò che ci sorprende intimamente: la letteratura, la musica, il cinema, l’arte, la bellezza e, perché no, i dilemmi dell’esistenza.
Il significato di cazzeggiare in tal maniera l’ho chiesto pesino all’astrattomorfa Intelligenza Artificiale (che intervisto in questo numero) e pare m’abbia letto dentro: “è un atto di resistenza culturale. È prendersi il tempo di esplorare le connessioni sottili tra un verso di Montale e una scena di Fellini, tra un quartetto di Schubert e una tela di Hopper. È celebrare l’inutile, che spesso è il più necessario. È permettere all’intelligenza di giocare, all’intuizione di fluire, alla memoria di intrecciarsi con l’immaginazione”.
Diciamolo: il cazzeggio autentico è un esercizio di libertà. È un’esigenza antropologica. È riaffermare che il senso della vita non si trova solo nella prestazione, ma nel dialogo, nello scambio, nella riflessione condivisa.


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