Tabù di Piers Paul Read. La narrazione, puntale, feroce, cruda, emotiva, talvolta sofferente, a tratti cinica, di un fatto realmente accaduto.

librijpg
Avvertenza
Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto

⭐ Sufficiente - ⭐ ⭐ Più che discreto - ⭐ ⭐ ⭐ Buono
⭐ ⭐ ⭐ ⭐ Ottimo - ⭐ ⭐ ⭐ ⭐ ⭐ Eccellente

La mia valutazione su questo libro:
3 stellajpg

Se qualcuno, prendendo tra le mani questo resoconto, perché è di cronaca che stiamo parlando e non certamente di fiction, pensa di trascorrere qualche ora tra zombi, cannibali ed umani assetati di sangue, allora è meglio che lo riponga nello scaffale in cui lo ha preso ed orienti la sua scelta ad un genere differente. Va detto che Piers Paul Read ha una particolare predisposizione a trasporre fatti realmente accaduti in parole, suoi sono, infatti, anche “Catastrofe” (1994), che racconta la tragedia nucleare di Chernobyl, e la “Vera storia dei templari” del 1999.

Tabù (titolo originale Alive: the story of the Andes survivors) è la narrazione, puntale, feroce, cruda, emotiva, talvolta sofferente, a tratti cinica, di un fatto realmente accaduto. Così umanamente disumana come vicenda da ispirare più di un film: “I sopravvissuti delle Ande” del 1976 per la regia di René Cardona e “Alive – Sopravvissuti” (1993) per la regia di Frank Wilson Marshall.

La penna di Read parte con il disegnare vite quotidiane, relazioni sociali, le complicità di un gruppo di giovani studenti universitari. Un bel quadretto che si allarga agli amici, alle loro famiglie. Insomma, gente come noi, come loro, come voi. C’è, infatti, su quel volo della Fuerza Aérea Uruguaya decollato da Montevideo e diretto a Santiago del Cile un’intera squadra di rugby, gli Old Christians Club. Quarantacinque anime, se consideriamo amici e parenti. Read la fa sembrare una bella gita: lazzi, battute, sorrisi. E una bella gita lo è o almeno lo dovrebbe essere, se non fosse che attraversando la Cordigliera delle Ande, investito da una non inusuale perturbazione australe, il comandante perde la bussola, o sarebbe meglio dire l’altimetro. Fatto fatale. L’aereo si schianta a oltre 3.600 metri di quota, tra la neve ed il ghiaccio, sprofonda in un mondo freddo dove la temperatura scende a 30 gradi sotto lo zero più velocemente di quanto un ascensore scenda di trenta piani, a fronte del fatto che chi sopravvive all’impatto (muoiono in 17 tra il momento dell’impatto ed il giorno seguente allo stesso) deve cavarsela, in quell’ottobre del 1972, con le magliette portate appresso per una Montevideo che in quella stagione si bea di tiepide giornate di venti gradi.

aereojpg

Ci si arrangia per sopravvivere. È questo il vero racconto. A tratti, Read pare faccia quasi un inventario di azioni, come le cure dispensate da Canessa e Zerbino, studenti in medicina, o come la conta delle razioni alimentari che finiscono quasi subito. Un freddo elenco che talvolta iberna un po' la narrazione, ma che rende più letargico anche chi legge, quasi che nella scrittura l’autore lo volesse intorpidire con quello stesso freddo che i protagonisti devono patire per mesi, sino alla fine di dicembre, dato che ormai per il mondo quei ragazzi sono fantasmi ormai perduti nell’oblio.
E di morti ce ne sono. Saranno proprio loro, umani irrigiditi da un freddo che ne blocca il disfacimento, quasi come fossero carne in un congelatore, a rendere possibile che altri, i sopravvissuti, vivano.

Sì, esatto. Carne. Carne umana. Quella che terrà in vita chi tornerà a casa, una vita che per molti vale più di un’etica dove, costi quel che costi, uomo non mangia uomo, amico non mangia amico, fratello non mangia fratello. Un’etica che comunque qualcuno rifiuterà di abbandonare. Niente cannibali quindi, ma disperati abbandonati dalla civiltà ed adottati dal puro cinico spirito di sopravvivenza. Read, che a tratti accelera nei tempi del racconto per poi tornare ad essere contabile della tragedia che descrive, fa il suo lavoro di cronista. Ne più, ne meno. Interessante.