Nessuno torna indietro di Alba De Céspedes. E gli uomini non ci perdonano di aver studiato, di saperne quanto loro

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Avvertenza
Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.


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La mia valutazione su questo libro:
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Se volessimo riassumere questo romanzo in poche righe (evitando di farne un riassunto) potremmo basarci sulla sinossi di qualche riedizione più recente: è la storia di otto ragazze attorno ai vent'anni che si ritrovano tutte al collegio Grimaldi di Roma, tra l'autunno del 1934 e l'estate del 1936. Si chiamano Vinca, Valentina, Augusta, Silvia, Xenia, Anna, Milly, Emanuela. Giovani donne di diverse regioni d'Italia, di differente estrazione sociale, che si affacciano alla vita adulta con attese differenti: l'amore, l'emancipazione professionale ed intellettuale, il ritorno alle origini, la partenza, e che chiuderanno il loro percorso con scelte altrettanto differenti. Va detto, per diritto di cronaca, che parliamo di un romanzo edito nel 1938, che si è meritato oltre trenta traduzioni (fra le quali il giapponese, il russo, il norvegese, lo svedese, il finlandese, il rumeno, il bulgaro), un numero di ristampe impressionanti, un omonimo film di Alessandro Blasetti del 1943 ed un altrettanto omonimo sceneggiato di Franco Giraldi del 1987. La prima edizione del libro andò esaurita in una settimana e già il mese successivo vide una sua ristampa. Non ultimo, il libro fu fortemente osteggiato dal fascismo per il passato antifascista dell’autrice, al punto che ai librari fu vietato d'esporlo nelle vetrine, anche se continuò a circolare clandestinamente.

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fotogrammi dal film di Alessandro Blasetti del 1943


“A casa, ormai, non si può più tornare. I genitori non dovrebbero mandarci in città. Dopo, anche se torniamo, siamo cattive figlie, cattive mogli. Chi può dimenticare di essere stata padrona di se stessa? E, per i nostri paesi, aver vissuto sole in città vuol dire essere perdute. Quelle che sono rimaste, che sono passate dall’autorità del padre a quella del marito, non ci perdonano di aver avuto la chiave della nostra camera, di uscire e di entrare all’ora che vogliamo. E gli uomini non ci perdonano di aver studiato, di saperne quanto loro”.

Diverse personalità, differente passato, sogni e scelte che inseguono strade talvolta distanti. Ma nel racconto di Alba de Céspedes le protagoniste sono figure femminili con ambizioni, atteggiamenti e rapporti intrafamiliari non conformi, spesso antitetici, ai modelli imposti in quell'epoca nel nostro Paese. Modelli che volevano la donna come uno stereotipato "angelo del focolare" in un tessuto sociale privo di screpolature, lontano dagli intrecci tra politica ed affari, refrattario a relazioni e tanto meno a rapporti sessuali prematrimoniali. Non è così per Vinca, Valentina, Augusta, Silvia, Xenia, Anna, Milly, Emanuela, in modo diverso tra loro forse, ma con un denominatore comune, quello di nutrire ambizioni e progetti per se stesse e fuori dal perimetro del matrimonio, talvolta in disaccordo dall'ambito familiare di provenienza. Una condizione, la loro, resa ancor più anticonformista per il contesto educativo di ambientazione che le vede collocate in un collegio di suore. Per questo la censura fascista escluse il romanzo dal Premio Viareggio del 1939 già vinto ex aequo con Vincenzo Cardarelli. Annullata la decisione della giuria per ordine di Mussolini.

Nel leggerlo oggi, io stesso ne ho ritrovato un'edizione tostata dal tempo negli Oscar del 1966 (350 care vecchie Lire), è fondamentale quindi non perdere mai di vista l'epoca in cui fu scritto, da una donna tra l'altro, e la morale della società di metà degli anni '30 del Novecento, epoca in cui il romanzo s'ambienta.

Più di ciò che penso su questo racconto, valgono certamente le parole di alcuni critici che ne tratteggiano, proprio sulla quarta di copertina dell'edizione del 1966, alcuni punti di forza. “A quali ragioni si deve questo insolito eccezionale successo?” si domandava già dal 1939 Mario Missiroli nel “Messaggero” trovando che la ragion prima andava ricercata “nell'arte dell'autrice, nella sua straordinaria capacità di disegnare ambienti e situazioni”, perché questo romanzo anticipando coraggiosamente modi narrativi e condizioni umane che parvero naturali dopo la guerra, conteneva “la novità della psicologia e dei rapporti umani che sono propri ed esclusivi del tempo nostro nel quale uomini e donne sono divorati da un'impazienza che non ammette indugi, da una smania di vivere, di far preso, di accelerare i tempi”. Oppure, secondo lo storico della letteratura Francesco Flora, tale successo lo si deve “all'umana discrezione con la quale l'autrice sa esprimere passioni così vive dei personaggi”, al punto, che ribadisce il critico Enea Silvio Benco, “ci sono tratti in questo libro da impressionare un vecchio lettore come me”.

Ora tale critica letteraria può sembrarci anacronistica, così come lo scorrere lento della narrazione che contraddistingue questo libro nel quale i quadri narrativi si segmentano nei ritratti e nelle vite alterne delle giovani protagoniste, ma ci offre un pensiero importante del periodo in cui l'opera di Alba de Céspedes fu pubblicata. Va detto, circa l'autrice, che si tratta di una donna politicamente attiva per ideali di giustizia e libertà, di un'intellettuale acuta e capace di percepire i fermenti della sua epoca. Il padre era Carlos Manuel de Céspedes y Quesada, agli inizi del '900 ambasciatore di Cuba in Italia e nel 1933 presidente cubano per alcuni mesi; il nonno Carlos Manuel de Céspedes del Castillo era stato il "primo presidente in armi" dell'isola caraibica, e fu ucciso dai militari colonialisti spagnoli nel 1874. Benestante, ma con una tradizione familiare progressista e antifascista, tanto che Alba, già sposata a soli quindici anni, partecipò alla Resistenza con il nome di battaglia Clorinda. Collaboratrice di “Epoca” e de “La Stampa”, già nel 1944 aveva dato vita alla rivista letteraria Mercurio, dove furono pubblicati i primi lavori di Sibilla Aleramo, Alberto Moravia e Ernest Hemingway.

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Un ritratto personale, quello della scrittrice, che già svela il tratto psicologico e sociale di “Nessuno torna indietro”, in cui il titolo stesso è sinonimo di un'emancipazione che è andata ben oltre la cultura italiana del periodo. Se dalle prime righe lo si scambia per un romanzo romantico, allora non si deve indugiare troppo e procedere spediti, perché di romantico c'è ben poco. Lo scandalo, l'amore perduto, le convenzioni rinnegate, la morte, l'asservimento al denaro, il femminismo, il latente sentimento saffico, sono come enormi bauli il cui attrito rende faticoso spingerli nella vita delle interpreti. Ragazze del 1938, donne di lì a poco in cerca di un riscatto sociale, di un ruolo nuovo, di una speranza che, sul finale, l'autrice non vuole negare alle sue creature.

Nota bibliografica a margine. Ci sono numerosi saggi sull'autrice e i sui lavori. Chi vuole può cercare: Fortini, L. (1996). "Nessuno torna indietro" di Alba de Céspedes. In direttore Alberto Asor Rosa (a cura di), Letteratura Italiana, Le Opere, IV Il Novecento, II. La ricerca letteraria (pp. 137--166). TORINO : Einaudi.