Il vangelo secondo Gesù Cristo di José Saramago.

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Avvertenza
Valutazione e recensione sono frutto del mio personale gusto individuale, delle mie preferenze letterarie, così come la valutazione che assegno. E' quindi più che comprensibile, anzi auspicabile, che molti non la pensino come me. Detto ciò: ogni libro è fatto per essere letto.


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La mia valutazione su questo libro:
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Diciamo subito che Saramago, all'anagrafe di Alentejo come Joseè se Sousa, non smentisce in questo libro le “dicerie” che lo dipingono come un personaggio anarchico, irriverente, ma soprattutto paladino di ciò che è ingiusto socialmente. In questo suo Vangelo da rogo inquisitore (e sarebbe anche da capire cos'è che brucia, se chi contesta e chi è contestato in questo libro) le ingiustizie si sprecano davvero. Ma guai a parlarne ad alta voce, perché altrimenti, come è accaduto a questo titolo, il rischio è di apparire eretico, quasi blasfemo, al punto da ottenere una censura da parte del clero cattolico di mezza Europa.

Un viaggio mistico dunque, tra le righe dei vangeli apocrifi e sinottici, quasi a sconfessare quell'unica verità sancita a Nicea nel Concilio che definiva cosa è buono e cosa è cattivo. Un viaggio che inizia come una passeggiata tra i paesaggi della martoriata, contesa e dilaniata Palestina. Due passi che, nelle prime righe, corrono a ricalco della storia di un Gesù da catechismo scolastico, sino ad arrivare ad un dosso in cui anche il viaggiatore più attento inciampa, col rischio di cadere. Di rotolare sino ai piedi di una croce dove babbo Giuseppe, per sbaglio, per ingenuità o fede mal riposta, finisce i sui giorni inchiodato tra le assi.

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Ed è proprio qui che inizia la vera storia, quando chi legge si pone la domanda mai offerta dalle scritture. Ma come è morto e quando il buon Giuseppe? Da questo punto è tutta una curva, che ti devi sporgere per capire cosa sta dietro ad ogni ansa, in quello stile di Saramago dove la punteggiatura è solo un'idea abbozzata e le virgole si travestono da punti, dove Dio e Diavolo quasi s'invertono di ruolo, dove devi cercar maiuscole per capire chi parla o chi sta zitto, che non è cosa da poco visto che anche i silenzi in questa prosa contano. Contano eccome in una scrittura che tanto bene riprende lo stile del racconto orale, di quell'immaginario arcaico e arcano che dall'anno zero di Betlemme si è incarnato negli inchiostri dei Vangeli scritti dagli uomini per gli uomini e non sempre per rendere grazia all'Altissimo.

Qui non c'è un Dio grande e misericordioso. Grande forse, con grandi ambizioni di governo, disposto a tutto per avere l'esclusiva della fede, tanto che il Diavolo quasi sembra il mediatore del conflitto che verrà. C'è una divinità cui l'Olimpo sta un poco stretto e che è disposto a sacrificare l'umanità intera a costo di instillare in essa un perenne senso di colpa, un peccato originale.
E poi c'è Gesù, figlio di un falegname. Molto adolescente, poco figlio per una mamma che si consuma tra la numerosa prole e il desiderio di capire un mondo che, essendo femmina, le è precluso. C'è Gesù che prova a lottare, ma poi quasi si rassegna. Si rassegna alle pulsioni umane, al senso di colpa, ma non al perdono di un figlio che muore sulla croce. C'è Gesù, che però a raccontarlo oltre rischierei di far peccato di spoiler e dovrete conoscerlo da soli.

Resta chiaro che la critica alla Chiesa ed a certi suoi insegnamenti, così come alla relativa “didattica” dei secoli nei secoli, velata non lo è di certo. Con i suoi dogmi su bontà, luce e perdono che in qualche modo ci pare assolvano, anche per chi come me crede, le ingiustizie, le guerre, le le carestie, le calamità, le perdite improvvise e le nostre quotidiane manchevolezze. Brutto pensiero per un fedele. Ma si sa siamo uomini, cosa vogliam capire, presuntuosi che non siamo altro, di cose divine.

Da leggere assolutamente, da riflettere ancor di più.

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