La meccanizzazione postale e la parola scritta in movimento

Articolo originariamente pubblicato il 19 gennaio 2016
Rieditato per questo sito il 11 settembre 2021

Nel rivedere ed aggiornare il mio percorso dedicato alla meccanizzazione postale, inserendo nuovi reperti ed ampliandolo con punti di vista internazionali, ho trovato necessario fare alcune riflessioni per contestualizzarlo nell'intero spazio espositivo rappresentato dalla mia collezione. Non potendo definirlo assolutamente filatelico, pur prendendo come punto di partenza l'emissione repubblicana nata per pubblicizzare l'introduzione del codice di avviamento postale, tale itinerario esplora molti aspetti della postalità: la marcofilia, la storia postale, l'interofilia, tanto per fare alcuni esempi. Non ultimo il tema della filografia. 

Filografia è un neologismo che deriva da philos e graphia, ovvero scrittura, indicante lo studio ed il conseguente collezionismo di tutte quelle tracce relative alla civiltà della scrittura, dai caratteri sumeri alle lettere inviate nello spazio, passando dalle pergamene medievali. Ogni reperto filografico non è dunque soltanto il singolo testimone di un'epoca, di una cultura o di una civiltà, ma è il tassello per ricomporre un puzzle millenario.

Non è istintivo pensarci, ma attraverso la raccolta, lo studio e l'analisi di antiche missive nella loro complessità (la tipologia, il contenuto, il francobollo, l'annullo postale) è, infatti, possibile ricostruire straordinari frammenti della nostra storia. Una storia che inizia lungo le rive dei corsi d'acqua dove si svilupparono le più antiche civiltà della terra: i Sumeri tra il Tigri e l'Eufrate, gli Egizi sulle rive del Nilo. Oggi abbiamo reperti filografici, lettere scolpite del periodo babilonese che ci raccontano, a caratteri cuneiformi impressi nell'argilla, cosa scriveva un principe alla sua innamorata, ma nulla ci è rimasto dell’approccio sentimentale di due giovani della nostra epoca fatto a colpi di sms.

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La parola scritta impressa sulla pietra

La storia della scrittura però, nel corso dei millenni, si è evoluta, spostando il suo baricentro in Europa, grazie all'Impero romano ed al costante processo di scambio culturale, ma anche attraverso l'incontro di Oriente ed Occidente. La stessa storia che, scorrendo in avanti, ha permesso la salvaguardia della sapienza antica durante il Medioevo cristiano e che compirà poi uno straordinario percorso per passare ai documenti di età imperiale fino a giungere alle pergamene ecclesiastiche medievali. La necessità di comunicare sistematicamente il proprio pensiero si trasformò ben presto in una quotidianità di relazioni, umane e commerciali.

Da qui la posta, perché un servizio postale statale efficiente è necessario per sostenere l'espansione degli scambi commerciali: dal suo progenitore avviato dalla famiglia dei Tasso, al servizio dell'imperatore, sino alla riforma postale inglese del 1660 pensata da Henry Bishop, da cui l'omonimo bollo, il primo a indicare mese e giorno.

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La riforma postale inglese del 1660 fu pensata da Henry Bishop

All'inizio del XVIII secolo, si deve a James Chalmers, nel 1837, l'idea di una marca adesiva, progenitore di quello che sarà il francobollo. L'invenzione in Gran Bretagna del Penny Black, il primo francobollo del mondo, il 6 maggio 1840, rende più veloce il viaggio della parola scritta. Le lettere così affrancate raggiungono ogni angolo del pianeta, dando inizio al processo di globalizzazione. E fin dalla sua nascita il francobollo, partecipando a questa rivoluzione, diventa un vero cronista della storia. Lo rimarchiamo all'interno delle nostre collezioni più squisitamente filateliche. Così come non si può dire non sia "filatelico" l'avvento tecnologico della fluorescenza nei francobolli, componente di una ricerca e di una modalità pensate e nate in funzione di un nuovo modo di gestire i flussi di posta, della parola scritta quindi, attraverso nuovi metodi, meno manuali, più automatizzati.

Un percorso collezionistico che, in qualche modo, mette in correlazione postalità e progresso, parola scritta e tecnologia. Un itinerario che racconta il passaggio di un epoca in cui la necessità di ricorrere a nuove ed innovative macchine sgorgava dalla necessità di far fronte ad un veloce e progressivo aumento delle corrispondenze, ma anche di come, quegli stessi computer, capaci di leggere ed interpretare un indirizzo vergato su una lettera, hanno segnato l'inizio del cammino della parola tecnologica destinato, attraverso le odierne e-mail, ad influenzare enormemente, con la velocità della diffusione della comunicazione, il nostro modo di vivere e quindi di sostituire una cartolina con un post, una lettera con un sms. E forse di mandare in pensione quel tanto caro amato francobollo il cui uso quotidiano appare oggi drasticamente ridotto e il cui impiego, anche in ambito collezionistico, oggi è oggetto di continuo dibattito.

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La parola scritta entra in rapporto con la tecnologia per viaggiare più velocemente

Forse però si tratta di "tanto rumore per nulla". Di un'inevitabile trasformazione sociale. Così come sta accadendo, filograficamente parlando, per la scrittura. Tanto per non dimenticare che le due cose, posta e scrittura, una relazione tra loro l'hanno sempre avuta.

Grande clamore ha di recente suscitato la notizia che la Finlandia, il paese con uno dei sistemi educativi più avanzati al mondo, ha deciso di mandare definitivamente in soffitta la bella calligrafia o meglio la scrittura corsiva. Da agosto 2016 i bambini finlandesi non impareranno più a scrivere le lettere dell’alfabeto una legata all'altra, ma solo in stampatello, con i caratteri facili da scrivere e soprattutto da leggere. E al posto delle lezioni di corsivo s'imparerà a battere sulla tastiera del computer. Così ha deciso l’Istituto Nazionale di Educazione finlandese: con buona pace dei tanti argomenti e dei tanti studi di psicologi e pedagogisti che dimostrano come il corsivo serva a sviluppare precise capacità cognitive nei bambini. La perdita della scrittura corsiva è una realtà assai bene documentata da sociologi, neuro linguisti, pedagogisti. E’ il risultato di un processo di omologazione culturale che si è accentuato con l’avvento delle nuove tecnologie, ma soprattutto sottovalutando l’importanza della scrittura corsiva che, in molti casi, è stata relegata al ruolo di Cenerentola nei programmi didattici.

Anche il Time ha pubblicato un reportage che parla di “lutto per la morte del corsivo”, segno che di problema planetario si tratta. Umberto Eco, ad esempio, parla del corsivo come del prolungamento della mano, qualcosa di assolutamente biologico. Una forma di comunicazione legata al corpo. Ho letto di recente un articolo interessante dove era spiegato molto bene che scrivere in corsivo significa tradurre il pensiero in parole, in unità semantiche, scrivere in stampatello vuol dire invece sezionarlo in lettere, spezzettarlo, negare il tempo e il respiro della frase. Non è dunque un caso che siano in tanti a ritenere che la perdita del corsivo è alla base di molti disturbi dell'apprendimento segnalati dagli insegnanti elementari e che rendono poi più arduo tutto il percorso scolastico.


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Il corsivo quale testimone del passato

C’è addirittura chi si spinge oltre. Evi Crotti, psicopedagogista, scrittrice ed esperta di grafologia, dalle pagine de “Il Giornale”, ha scritto che la maggior parte degli adolescenti che preferiscono scrivere in stampatello pone in evidenza un disimpegno verso la realtà, un mascherarsi di fronte alla responsabilità. A fronte di questa analisi gli educatori, cito sempre la Crotti, dovrebbero fare molta attenzione prima di chiedere o addirittura d'imporre di sostituire una grafia illeggibile con lo stampatello, poiché ciò sottintende già qualcosa che non va, e cambiare il corsivo con lo stampatello è come prendere una pillola senza risolvere il problema che sta a monte. Forse è per questo che, in chiara controtendenza con il nord scandinavo, in Inghilterra alcuni anni fa diverse scuole hanno reintegrato l'uso della penna stilografica, per costringere gli studenti a reimparare la bella grafia, mentre in Francia alcuni istituti superiori sono tornati alla dettatura, visto che di anno in anno gli studenti avevano deciso senza motivo di decapitare migliaia di parole dei loro accenti adattando lo stile di scrittura a quello dei telefonini.

La Finlandia, ma forse anche gli Stati Uniti, la pensano in modo differente, più pragmatico: scrivere in stampatello, ha spiegato la funzionaria Minna Harmanen, è più veloce e si impara prima. Anche se in molti vedono, dietro questa decisione apparentemente dettata solo dalla comodità, una sorta di ostilità ideologica nei confronti del corsivo considerato troppo elitario: lo stampatello garantisce una scrittura meno personale, certo, ma sicuramente più «democratica» perché uguale per tutti. Giuliana Ammannati è una pedagogista clinica ed un’insegnante, per oltre un decennio ha messo sotto la lente la scrittura dei suoi allievi adolescenti.

La sua teoria sull'abbandono del corsivo? Questo tipo di scrittura è propria, ti mette a nudo, ti rende unico. Più facile nascondersi dietro l’omologazione dello stampatello. Si notano grandissime resistenze a far uscire i ragazzi dall'uso costante dello stampatello al punto che dopo aver scritto in corsivo non riescono a rileggere le proprie parole, per questo poi, a seguire, continuano nell'uso dello stampato. Se a questo aggiungiamo che l’impiego di strumenti come telefonini e notebook ha imposto una nuova forma di linguaggio breve, ridotto ai minimi termini, non dobbiamo stupirci se qualcuno vi scorge un impoverimento della lingua e della capacità espressiva. La decisione finlandese è, forse, lo specchio dell'epoca digitale: mandare una mail è più semplice, immediato, meno costoso.

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Troppe mail inutili, spesso d'istinto, in modo compulsivo

Un dibattito aperto, ricco di spunti. Non ultimo quello che scrivere una lettera, così come lo si faceva una volta, ti obbliga ad una riflessione: quello che ho da dire, da raccontare, da domandare, vale davvero l'impegno di mettersi davanti ad un foglio bianco ed una penna? Oggi si scrivono tante, troppe mail inutili, spesso d'istinto, in modo compulsivo. Talmente tante che chi le riceve, talvolta, non ha nemmeno voglia o tempo di leggerle. E che dire poi della memoria storica? Intendiamoci parlare della perdita della scrittura corsiva non significa demonizzare per forza la tecnologia digitale. Ci deve però fare riflettere su quello che perdiamo, sul fatto che possa valere la pena di perderlo completamente o meno.

Il passaggio dalla carta al codice binario, che in fondo ha dato una bella spinta alla perdita del corsivo e al declino del francobollo per i fini cui era stato inventato, ha anche messo in luce quanto la promessa dell’eternità offerta dal digitale si sia rivelata una bugia colossale. Oggi la moderna tecnologia si cannibalizza da sola. Acquisti un computer, un lettore di supporti digitali e appena lo hai installato ed hai fatto tuoi i suoi segreti scopri che è già obsoleto. Un esempio: pensate ad un incunabolo del quindicesimo secolo. Consunto, ingiallito, tostato dal tempo, reso fragile dall’età. Indossi un paio di guanti di cotone, lo sfogli con cura. Lo leggi.

Così come si può fare con una missiva vergata a mano. Sei secoli nel mezzo eppure, nel terzo millennio dell'uomo sulla terra, si è ancora in grado di leggerlo. Non è così per VHS, un floppy un cd vecchio di qualche anno. Tra un po’ sarà difficile pensare di leggere i dvd di prima generazione. Proviamo quindi a pensare alla nostra corrispondenza più recente! Quante mail ed sms abbiamo conservato degli ultimi sei anni? Pochi vero? Tra trenta, quarant'anni sarà impossibile ricostruire frammenti della nostra vita così come, invece, possiamo oggi fare con la "vita degli altri" attraverso le lunghe intense epistole che i collezionisti, come me, conservano.


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Tutto questo per arrivare a dire che, a fronte dei cambiamenti epocali cui la civiltà della scrittura è assoggettata, ogni aspetto con cui la parola scritta è stata elaborata, processata, trasportata e recapitata assume il valore di un racconto storico, più o meno filatelico, più o meno filografico, ma certamente importante per comprendere i mutamenti che hanno influenzato il nostro modo di comunicare con gli altri.

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La collezione come percorso espostivo

Per questo ho deciso di approfondire ed ampliare il mio percorso dedicato alla meccanizzazione postale, come sempre immaginandolo come un percorso espositivo, ampliando gli orizzonti oltre i confini nazionali e procedendo in avanti cronologicamente, fermo restando l'idea di proseguire nei prossimi mesi arricchendolo con nuovi capitoli dedicati a CMP italiani e alla loro evoluzione sino ai giorni nostri.

Bibliografia essenziale

  • Marco Nundini, Vite Corsive, 2013, Il filografo
  • AA.VV, Elogio della parola scritta, 2008, Allemandi-Bolaffi
  • Evi Crotti, Stampatello sotto accusa, 22/06/2011,Il giornale .it  (ultima consultazione 30/10/2019)
  • AA.VV. (redazione Scuola), La Finlandia dice addio al corsivo, 08/12/2014, Corriere.it, (ultima consultazione 30/10/2019)
  • Cesare Cavalleri, L'insostenibile eclissi del corsivo al tempo dello smartphone, 23/08/2017, Avvenire.it, (ultima consultazione 30/10/2019)
  • Umberto Eco, Pensieri in bella copia (da La bustina di Minerva), 07/08/2009, L'Espresso+ (http://espresso.repubblica.it/). Ultima consultazione 30/10/2019